Pagina:Alighieri, Dante – La Divina Commedia, 1933 – BEIC 1730903.djvu/32

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CANTO VI

     Al tornar de la mente, che si chiuse
dinanzi a la pietá de’ due cognati,
3che di tristizia tutto mi confuse,
     novi tormenti e novi tormentati
mi veggio intorno, come ch’io mi mova
6e ch’io mi volga, e come che io guati.
     Io sono al terzo cerchio, de la piova
eterna, maladetta, fredda e greve:
9regola e qualitá mai non l’è nova.
     Grandine grossa, acqua tinta, e neve
per l’aere tenebroso si riversa;
12pute la terra che questo riceve.
     Cerbero, fiera crudele e diversa,
con tre gole caninamente latra
15sopra la gente che quivi è sommersa.
     Li occhi ha vermigli, la barba unta e atra,
e ’l ventre largo, e unghiate le mani;
18graffia li spiriti, scuoia ed isquatra.
     Urlar li fa la pioggia come cani:
de l’un de’ lati fanno a l’altro schermo;
21volgonsi spesso i miseri profani.
     Quando ci scorse Cerbero, il gran vermo,
le bocche aperse e mostrocci le sanne;
24non avea membro che tenesse fermo.
     Lo duca mio distese le sue spanne,
prese la terra, e con piene le pugna
27la gittò dentro a le bramose canne.