Pagina:Alighieri, Dante – La Divina Commedia, 1933 – BEIC 1730903.djvu/320

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314 la divina commedia

     Ond’ella, appresso d’un pio sospiro,
li occhi drizzò ver me con quel sembiante
102che madre fa sovra figlio deliro,
     e cominciò: «Le cose tutte quante
hanno ordine tra loro; e questo è forma
105che l’universo a Dio fa simigliante:
     qui veggion l’alte creature l’orma
de l’eterno valore, il qual è fine
108al quale è fatta la toccata norma.
     Ne l’ordine ch’io dico sono accline
tutte nature, per diverse sorti,
111piú al principio loro e men vicine;
     onde si muovono a diversi porti
per lo gran mar de l’essere, e ciascuna
114con istinto a lei dato che la porti.
     Questi ne porta il foco inver la luna;
questi ne’ cor mortali è permotore;
117questi la terra in sé stringe e aduna:
     né pur le creature che son fuore
d’intelligenza quest’arco saetta,
120ma quelle c’hanno intelletto ed amore.
     La provedenza, che cotanto assetta,
del suo lume fa ’l ciel sempre quieto
123nel qual si volge quel c’ha maggior fretta;
     e ora lí, come a sito decreto,
cen porta la virtú di quella corda
126che ciò che scocca drizza in segno lieto.
     Vero è che come forma non s’accorda
molte fiate a l’intenzion de l’arte,
129perché a risponder la materia è sorda;
     cosí da questo corso si diparte
talor la creatura, c’ha podere
132di piegar, cosí pinta, in altra parte;
     e sí come veder si può cadere
foco di nube, sí l’impeto primo
135s’atterra, torto da falso piacere.