Pagina:Alighieri, Dante – La Divina Commedia, 1933 – BEIC 1730903.djvu/334

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328 la divina commedia

     Molte fiate giá, frate, addivenne
che, per fuggir periglio, contra grato
102si fe’ di quel che far non si convenne;
     come Almeone, che, di ciò pregato
dal padre suo, la propria madre spense,
105per non perder pietá, si fe’ spietato.
     A questo punto voglio che tu pense
che la forza al voler si mischia, e fanno
108sí che scusar non si posson l’offense.
     Voglia assoluta non consente al danno;
ma consentevi in tanto, in quanto teme,
111se si ritrae, cadere in piú affanno.
     Però, quando Piccarda quello spreme,
de la voglia assoluta intende, e io
114de l’altra; sí che ver diciamo insieme».
     Cotal fu l’ondeggiar del santo rio
ch’usci del fonte ond’ogni ver deriva;
117tal pose in pace uno e altro disio.
     «O amanza del primo amante, o diva»
diss’io appresso «il cui parlar m’inonda
120e scalda sí, che piú e piú m’avviva,
     non è l’affezion mia sí profonda,
che basti a render voi grazia per grazia;
123ma quei che vede e puote a ciò risponda.
     Io veggio ben che giá mai non si sazia
nostro intelletto, se ’l ver non lo illustra
126di fuor dal qual nessun vero si spazia.
     Posasi in esso, come fèra in lustra,
tosto che giunto l’ha; e giugner puollo:
129se non, ciascun disio sarebbe frustra.
     Nasce per quello, a guisa di rampollo,
a piè del vero il dubbio; ed è natura,
332ch’al sommo pinge noi di collo in collo.
     Questo m’invita, questo m’assicura
con reverenza, donna, a dimandarvi
135d’un’altra veritá che m’è oscura: