Pagina:Alighieri, Dante – La Divina Commedia, 1933 – BEIC 1730903.djvu/353

Da Wikisource.

paradiso - canto viii 347

     e non pur le nature provedute
sono in la mente ch’è da sé perfetta,
102ma esse insieme con la lor salute:
     per che quantunque quest’arco saetta
disposto cade a proveduto fine,
105sí come cosa in suo segno diretta.
     Se ciò non fosse, il ciel che tu cammine
producerebbe sí li suoi effetti,
108che non sarebbero arti, ma ruine;
     e ciò esser non può, se li ’ntelletti
che muovon queste stelle non son manchi,
111e manco il primo, che non li ha perfetti.
     Vuo’ tu che questo ver piú ti s’imbianchi?»
E io: «Non giá; ché impossibil veggio
114che la natura, in quel ell’è uopo, stanchi».
     Ond’elli ancora: «Or dí, sarebbe il peggio
per l’uomo in terra, se non fosse cive?»
117«Sí,» rispos’io «e qui ragion non cheggio».
     «E puot’elli esser, se giú non si vive
diversamente per diversi offici?
120Non, se ’l maestro vostro ben vi scrive».
     Sí venne deducendo infino a quici;
poscia conchiuse: «Dunque esser diverse
123convien de’ vostri effetti le radici:
     per ch’un nasce Solone e altro Serse,
altro Melchisedèch e altro quello
126che, volando per l’aere, il figlio perse.
     La circular natura, ch’è suggello
a la cera mortal, fa ben sua arte,
129ma non distingue l’un da l’altro ostello.
     Quinci addivien ch’Esaú si diparte
per seme da Iacòb; e vien Quirino
132da sí vil padre, che si rende a Marte.
     Natura generata il suo cammino
simil farebbe sempre a’ generanti,
135se non vincesse il proveder divino.