Pagina:Alighieri, Dante – La Divina Commedia, 1933 – BEIC 1730903.djvu/361

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paradiso - canto x 355

     Lo ministro maggior de la natura,
che del valor del ciel lo mondo imprenta
30e col suo lume il tempo ne misura,
     con quella parte che su si rammenta
congiunto, si girava per le spire
33in che piú tosto ognora s’appresenta;
     e io era con lui; ma del salire
non m’accors’io, se non com’uom s’accorge,
36anzi ’l primo pensier, del suo venire.
     È Beatrice quella che si scorge
di bene in meglio sí subitamente,
39che l’atto suo per tempo non si sporge.
     Quant’esser convenía da sé lucente
quel ch’era dentro al sol dov’io entra’mi,
42non per color, ma per lume, parvente!
     Perch’io lo ’ngegno e l’arte e l’uso chiami,
sí nol direi, che mai s’imaginasse,
45ma creder puossi, e di veder si brami;
     e se le fantasie nostre son basse
a tanta altezza, non è maraviglia,
48ché sopra ’l sol non fu occhio ch’andasse.
     Tal era quivi la quarta famiglia
de l’alto Padre, che sempre la sazia
51mostrando come spira e come figlia.
     E Beatrice cominciò: «Ringrazia,
ringrazia il sol de li angeli, ch’a questo
54sensibil t’ha levato per sua grazia».
     Cor di mortal non fu mai sí digesto
a divozione ed a rendersi a Dio
57con tutto il suo gradir cotanto presto,
     come a quelle parole mi fec’io;
e sí tutto ’l mio amore in lui si mise,
60che Beatrice eclissò ne l’oblio.
     Non le dispiacque; ma sí se ne rise,
che lo splendor de li occhi suoi ridenti
63mia mente unita in piú cose divise