Pagina:Alighieri, Dante – La Divina Commedia, 1933 – BEIC 1730903.djvu/38

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32 la divina commedia

     ché tutto l’oro ch’è sotto la luna
e che giá fu, di quest’anime stanche
66non poterebbe farne posare una».
     «Maestro,» diss’io lui «or mi di’ anche:
questa Fortuna di che tu mi tocche,
69che è, che i ben del mondo ha sí tra branche?»
     Ed elli a me: «Oh creature sciocche,
quanta ignoranza è quella che v’offende!
72Or vo’ che tu mia sentenza ne ’mbocche.
     Colui lo cui saver tutto trascende,
fece li cieli e diè lor chi i conduce
75sí, ch’ogni parte ad ogni parte splende,
     distribuendo egualmente la luce:
similemente a li splendor mondani
78ordinò general ministra e duce
     che permutasse a tempo li ben vani
di gente in gente e d’uno in altro sangue,
81oltre la difension di senni umani;
     per ch’una gente impera ed altra langue,
seguendo lo giudicio di costei,
84che è occulto come in erba l’angue.
     Vostro saver non ha contasto a lei:
questa provede, giudica, e persegue
87suo regno come il loro li altri dei.
     Le sue permutazion non hanno triegue:
necessitá la fa esser veloce;
90sí spesso vien chi vicenda consegue.
     Quest’è colei ch’è tanto posta in croce
pur da color che le dovrien dar lode,
93dandole biasmo a torto e mala voce;
     ma ella s’è beata e ciò non ode:
con l’altre prime creature lieta
96volve sua spera e beata si gode.
     Or discendiamo omai a maggior pièta;
giá ogni stella cade che saliva
99quand’io mi mossi, e ’l troppo star si vieta».