Pagina:Alighieri, Dante – La Divina Commedia, 1933 – BEIC 1730903.djvu/381

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paradiso - canto xiii 375

     Ed ecco intorno, di chiarezza pari,
nascere un lustro sopra quel che v’era,
69per guisa d’orizzonte che rischiari;
     e sí come al salir di prima sera
comincian per lo ciel nuove parvenze,
72sí che la vista pare e non par vera,
     parvemi li novelle sussistenze
cominciare a vedere, e fare un giro
75di fuor da l’altre due circunferenze.
     Oh vero sfavillar del Santo Spiro,
come si fece súbito e candente
78a li occhi miei che, vinti, non soffriro!
     Ma Beatrice sí bella e ridente
mi si mostrò, che tra quelle vedute
81si vuol lasciar che non seguir la mente.
     Quindi ripreser li occhi miei virtute
a rilevarsi; e vidimi translato
84sol con mia donna in piú alta salute.
     Ben m’accors’io ch’io era piú levato,
per l’affocato riso de la stella,
87che mi parea piú roggio che l’usato.
     Con tutto il core e con quella favella
ch’è una in tutti, a Dio feci olocausto,
90qual conveníesi a la grazia novella.
     E non er’anco del mio petto esausto
l’ardor del sacrificio, ch’io conobbi
93esso litare stato accetto e fausto;
     ché con tanto lucore e tanto robbi
m’apparvero splendor dentro a due raggi,
96ch’io dissi: «O Eliòs che sí li addobbi!»
     Come, distinta da minori e maggi
lumi, biancheggia tra’ poli del mondo
99Galassia sí, che fa dubbiar ben saggi;
     sí costellati facean nel profondo
Marte quei raggi il venerabil segno
102che fan giunture di quadranti in tondo.