Pagina:Alighieri, Dante – La Divina Commedia, 1933 – BEIC 1730903.djvu/391

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paradiso - canto xvi 385

     Quel de la Pressa sapeva giá come
regger si vuole, ed avea Galigaio
102dorata in casa sua giá l’elsa e ’l pome.
     Grand’era giá la colonna del Vaio,
Sacchetti, Giuochi, Fifanti e Barucci
105e Galli e quei ch’arrossan per lo staio.
     Lo ceppo di che nacquero i Calfucci
era giá grande, e giá eran tratti
108a le curule Sizii e Arrigucci.
     Oh quali io vidi quei che son disfatti
per lor superbia! e le palle de l’oro
111fiorían Fiorenza in tutti suoi gran fatti.
     Cosí faceano i padri di coloro
che, sempre che la vostra chiesa vaca,
114si fanno grassi stando a concistoro.
     L’oltracotata schiatta che s’indraca
dietro a chi fugge, e a chi mostra ’l dente
117o ver la borsa, com’agnel si placa,
     giá venía su, ma di piccola gente;
sí che non piacque a Ubertin Donato
120che poi il suocero il fe’ lor parente.
     Giá era il Caponsacco nel mercato
disceso giú da Fiesole, e giá era
123buon cittadino Giuda e Infangato.
     Io dirò cosa incredibile e vera:
nel picciol cerchio s’entrava per porta
126che si nomava da quei de la Pera.
     Ciascun che de la bella insegna porta
del gran barone il cui nome e ’l cui pregio
129la festa di Tommaso riconforta,
     da esso ebbe milizia e privilegio;
avvegna che con popol si rauni
132oggi colui che la fascia col fregio.
     Giá eran Gualterotti e Importuni;
e ancor saría Borgo piú quieto,
135se di novi vicin fosser digiuni.