Pagina:Alighieri, Dante – La Divina Commedia, 1933 – BEIC 1730903.djvu/401

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paradiso - canto xviii 395

     Poi, come nel percuoter de’ ciocchi arsi
surgono innumerabili faville,
102onde li stolti sogliono augurarsi,
     resurger parver quindi piú di mille
luci, e salir qual assai e qual poco,
105sí come il sol che l’accende sortille;
     e quietata ciascuna in suo loco,
la testa e ’l collo d’un’aguglia vidi
108rappresentare a quel distinto foco.
     Quei che dipinge lí, non ha chi ’l guidi;
ma esso guida, e da lui si rammenta
111quella virtú ch’è forma per li nidi.
     L’altra beatitudo, che contenta
pareva prima d’ingigliarsi a l’emme,
114con poco moto seguitò la ’mprenta.
     O dolce stella, quali e quante gemme
mi dimostraron che nostra giustizia
117effetto sia del ciel che tu ingemme!
     per ch’io prego la mente in che s’inizia
tuo moto e tua virtute, che rimiri
120ond’esce il fummo che ’l tuo raggio vizia:
     sí ch’un’altra fiata omai s’adiri
del comperare e vender dentro al templo
123che si murò di segni e di martíri.
     O milizia del ciel cu’ io contemplo,
adora per color che sono in terra
126tutti sviati dietro al malo esemplo!
     Giá si solea con le spade far guerra;
ma or si fa togliendo or qui or quivi
129lo pan, che ’l pio Padre a nessun serra.
     Ma tu che sol per cancellare scrivi,
pensa che Pietro e Paulo, che moriro
132per la vigna che guasti, ancor son vivi.
     Ben puoi tu dire: «I’ ho fermo ’l disiro
sí a colui che volle viver solo
135e che per salti fu tratto al martiro,
     ch’io non conosco il pescator né Polo».