Pagina:Alighieri, Dante – La Divina Commedia, 1933 – BEIC 1730903.djvu/407

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CANTO XX

     Quando colui che tutto ’l mondo alluma
de l’emisperio nostro sí discende,
3che ’l giorno d’ogne parte si consuma;
     lo ciel, che sol di lui prima s’accende,
subitamente si rifá parvente
6per molte luci, in che una risplende;
     e questo atto del ciel mi venne a mente,
come ’l segno del mondo e de’ suoi duci
9nel benedetto rostro fu tacente:
     però che tutte quelle vive luci,
vie piú lucendo, cominciaron canti
12da mia memoria labili e caduci.
     O dolce amor che di riso t’ammanti,
quanto parevi ardente in que’ flailli,
15ch’avíeno spirto sol di pensier santi!
     Poscia che i cari e lucidi lapilli
ond’io vidi ingemmato il sesto lume
18poser silenzio a li angelici squilli,
     udir mi parve un mormorar di fiume
che scende chiaro giú di pietra in pietra,
21mostrando l’ubertá del suo cacume.
     E come suono al collo de la cetra
prende sua forma, e sí com’al pertugio
24de la sampogna vento che penètra,
     cosí, rimosso d’aspettare indugio,
quel mormorar de l’aguglia salissi
27su per lo collo, come fosse bugio.