Pagina:Alighieri, Dante – La Divina Commedia, 1933 – BEIC 1730903.djvu/409

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paradiso - canto xx 403

     ora conosce come s’innamora
lo ciel del giusto rege, e al sembiante
66del suo fulgor lo fa vedere ancora.
     Chi crederebbe giú nel mondo errante,
che Rifeo Troiano in questo tondo
69fosse la quinta de le luci sante?
     Ora conosce assai di quel che ’l mondo
veder non può de la divina grazia,
72ben che sua vista non discerna il fondo».
     Quale allodetta che ’n aere si spazia
prima cantando, e poi tace contenta
75de l’ultima dolcezza che la sazia,
     tal mi sembiò l’imago de la ’mprenta
de l’eterno piacere, al cui disio
78ciascuna cosa qual ella è diventa.
     E avvegna ch’io fossi al dubbiar mio
lí quasi vetro a lo color che ’l veste,
81tempo aspettar tacendo non patío,
     ma de la bocca «Che cose son queste?»
mi pinse con la forza del suo peso;
84per ch’io di coruscar vidi gran feste.
     Poi appresso, con l’occhio piú acceso,
lo benedetto segno mi rispose,
87per non tenermi in ammirar sospeso:
     «Io veggio che tu credi queste cose
perch’io le dico, ma non vedi come;
90sí che, se son credute, sono ascose.
     Fai come quei che la cosa per nome
apprende ben, ma la sua quidditate
93veder non può se altri non la prome.
     Regnum coelorum violenza pate
da caldo amore e da viva speranza,
96che vince la divina volontate;
     non a guisa che l’uomo a l’uom sobranza,
ma vince lei perché vuole esser vinta,
99e, vinta, vince con sua beninanza.