Pagina:Alighieri, Dante – La Divina Commedia, 1933 – BEIC 1730903.djvu/434

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428 la divina commedia

     E come surge e va ed entra in ballo
vergine lieta, sol per fare onore
105a la novizia, non per alcun fallo,
     cosí vid’io lo schiarato splendore
venire a’ due che si volgieno a nota
108qual conveníesi al loro ardente amore.
     Misesi lí nel canto e ne la rota;
e la mia donna in lor tenea l’aspetto,
111pur come sposa tacita ed immota.
     «Questi è colui che giacque sopra ’l petto
del nostro pellicano; e questi fue
114di su la croce al grande officio eletto».
     La donna mia cosí; né però piúe
mosser la vista sua di stare attenta,
117poscia che prima, le parole sue.
     Qual è colui ch’adocchia e s’argomenta
di vedere eclissar lo sole un poco,
120che, per veder, non vedente diventa;
     tal mi fec’io a quell’ultimo foco
mentre che detto fu: «Perché t’abbagli
123per veder cosa che qui non ha loco?
     In terra è terra il mio corpo, e sarágli
tanto con li altri, che ’l numero nostro
126con l’eterno proposito s’agguagli.
     Con le due stole nel beato chiostro
son le due luci sole che saliro;
129e questo apporterai nel mondo vostro».
     A questa voce l’infiammato giro
si quietò con esso il dolce mischio
132che si facea nel suon del trino spiro;
     sí come, per cessar fatica o rischio,
li remi, pria ne l’acqua ripercossi,
135tutti si posano al sonar d’un fischio.
     Ahi quanto ne la mente mi commossi,
quando mi volsi per veder Beatrice,
138per non poter veder, ben che io fossi
     presso di lei, e nel mondo felice!