Pagina:Alighieri, Dante – La Divina Commedia, 1933 – BEIC 1730903.djvu/441

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paradiso - canto xxvii 435

     Di quel color che per lo sole avverso
nube dipigne da sera e da mane,
30vid’io allora tutto il ciel cosperso.
     E come donna onesta che permane
di sé sicura, e per l’altrui fallanza,
33pur ascoltando, timida si fane,
     cosí Beatrice trasmutò sembianza;
e tale eclissi credo che ’n ciel fue,
36quando patí la suprema possanza.
     Poi procedetter le parole sue
con voce tanto da sé trasmutata,
39che la sembianza non si mutò piúe:
     «Non fu la sposa di Cristo allevata
del sangue mio, di Lin, di quel di Cleto,
42per esser ad acquisto d’oro usata;
     ma, per acquisto d’esto viver lieto,
e Sisto e Pio e Calisto e Urbano
45sparser lo sangue dopo molto fleto.
     Non fu nostra intenzion ch’a destra mano
de’ nostri successor parte sedesse,
48parte da l’altra del popol cristiano;
     né che le chiavi che mi fur concesse
divenisser signaculo in vessillo
51che contr’ai battezzati combattesse;
     né ch’io fossi figura di sigillo
a privilegi venduti e mendaci,
54ond’io sovente arrosso e disfavillo.
     In vesta di pastor lupi rapaci
si veggion di qua su per tutti i paschi:
57o difesa di Dio, perché pur giaci?
     Del sangue nostro Caorsini e Guaschi
s’apparecchian di bere: o buon principio,
60a che vil fine convien che tu caschi!
     Ma l’alta provedenza che con Scipio
difese a Roma la gloria del mondo,
63soccorra tosto, sí com’io concipio.