Pagina:Alighieri, Dante – La Divina Commedia, 1933 – BEIC 1730903.djvu/471

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paradiso - canto xxxiii 465

     Cosí la neve al sol si disigilla;
cosí al vento ne le foglie lievi
66si perdea la sentenza di Sibilla.
     O somma luce, che tanto ti levi
da’ concetti mortali, a la mia mente
69ripresta un poco di quel che parevi,
     e fa la lingua mia tanto possente,
ch’una favilla sol de la tua gloria
72possa lasciare a la futura gente:
     ché, per tornare alquanto a mia memoria
e per sonare un poco in questi versi,
75piú si conceperá di tua vittoria.
     Io credo, per l’acume ch’io soffersi
del vivo raggio, ch’i’ sarei smarrito
78se li occhi miei da lui fossero aversi;
     e mi ricorda ch’io fui piú ardito,
per questo, a sostener tanto ch’i’ giunsi
81l’aspetto mio col valore infinito.
     Oh abbondante grazia ond’io presunsi
ficcar lo viso per la luce eterna,
84tanto che la veduta vi consunsi!
     Nel suo profondo vidi che s’interna,
legato con amore in un volume,
87ciò che per l’universo si squaderna;
     sustanze e accidenti e lor costume
quasi conflati insieme, per tal modo
90che ciò ch’i’ dico è un semplice lume.
     La forma universal di questo nodo
credo ch’i’ vidi, perché piú di largo,
93dicendo questo, mi sento ch’i’ godo.
     Un punto solo m’è maggior letargo,
che venticinque secoli a la ’mpresa
96che fe’ Nettuno ammirar l’ombra d’Argo.
     Cosí la mente mia, tutta sospesa
mirava fissa, immobile e attenta,
99e sempre di mirar facíesi accesa.