Pagina:Alighieri, Dante – La Divina Commedia, 1933 – BEIC 1730903.djvu/71

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inferno - canto xv 65

     la conoscenza sua al mio intelletto;
e chinando la mano a la sua faccia,
30risposi: «Siete voi qui, ser Brunetto
     E quelli: «O figliuol mio, non ti dispiaccia
se Brunetto Latino un poco teco
33ritorna in dietro e lascia andar la traccia».
     I’ dissi lui: «Quanto posso, ven preco;
e se volete che con voi m’asseggia,
36faròl, se piace a costui che vo seco».
     «O figliuol,» disse «qual di questa greggia
s’arresta punto, giace poi cent’anni
39senz’arrostarsi quando ’l foco il feggia.
     Però va oltre: i’ ti verrò a’ panni;
e poi rigiugnerò la mia masnada,
42che va piangendo i suoi eterni danni».
     Io non osava scender de la strada
per andar par di lui, ma ’l capo chino
45tenea com’uom che reverente vada.
     El cominciò: «Qual fortuna o destino
anzi l’ultimo di qua giú ti mena?
48e chi è questi che mostra ’l cammino?»
     «Lá su di sopra, in la vita serena,»
rispos’io lui «mi smarri’ in una valle,
51avanti che l’etá mia fosse piena.
     Pur ier mattina le volsi le spalle:
questi m’apparve, tornand’io in quella,
54e reducemi a ca per questo calle».
     Ed elli a me: «Se tu segui tua stella,
non puoi fallire a glorioso porto,
57se ben m’accorsi ne la vita bella;
     e s’io non fossi sí per tempo morto,
veggendo il cielo a te cosí benigno,
60dato t’avrei a l’opera conforto.
     Ma quello ingrato popolo maligno
che discese di Fiesole ab antico,
63e tiene ancor del monte e del macigno,