Pagina:Alighieri, Dante – La Divina Commedia, 1933 – BEIC 1730903.djvu/75

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inferno - canto xvi 69

     E «Se miseria d’esto loco sollo
rende in dispetto noi e nostri preghi»
30cominciò l’uno «e ’l tinto aspetto e brollo,
     la fama nostra il tuo animo pieghi
a dirne chi tu se’, che i vivi piedi
33cosí sicuro per lo ’nferno freghi.
     Questi, l’orme di cui pestar mi vedi,
tutto che nudo e dipelato vada,
36fu di grado maggior che tu non credi:
     nepote fu de la buona Gualdrada;
Guido Guerra ebbe nome, ed in sua vita
39fece col senno assai e con la spada.
     L’altro, ch’appresso me la rena trita,
è Tegghiaio Aldobrandi, la cui voce
42nel mondo su dovría esser gradita.
     E io, che posto son con loro in croce,
Iacopo Rusticucci fui; e certo
45la fiera moglie piú ch’altro mi nuoce».
     S’i’ fossi stato dal foco coperto,
gittato mi sarei tra lor di sotto,
48e credo che ’l dottor l’avría sofferto;
     ma perch’io mi sarei bruciato e cotto,
vinse paura la mia buona voglia
51che di loro abbracciar mi facea ghiotto.
     Poi cominciai: «Non dispetto, ma doglia
la vostra condizion dentro mi fisse,
54tanta che tardi tutta si dispoglia,
     tosto che questo mio signor mi disse
parole per le quali i’ mi pensai
57che qual voi siete, tal gente venisse.
     Di vostra terra sono, e sempre mai
l'ovra di voi e li onorati nomi
60con affezion ritrassi e ascoltai.
     Lascio lo fele, e vo per dolci pomi
promessi a me per lo verace duca;
63ma infino al centro pria convien ch’i’ tomi».