Pagina:Alighieri, Dante – La Divina Commedia, 1933 – BEIC 1730903.djvu/80

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74 la divina commedia

     E un che d’una scrofa azzurra e grossa
segnato avea lo suo sacchetto bianco,
66mi disse: «Che fai tu in questa fossa?
     Or te ne va; e perché se’ vivo anco,
sappi che ’l mio vicin Vitaliano
69sederá qui dal mio sinistro fianco.
     Con questi fiorentin son padovano;
spesse fiate m’intronan li orecchi,
72gridando: ‛ Vegna il cavalier sovrano,
     che recherá la tasca coi tre becchi! ’»
Qui distorse la faccia e di fuor trasse
75la lingua come bue che ’l naso lecchi.
     E io, temendo no ’l piú star crucciasse
lui che di poco star m’avea ammonito,
78torna’ mi in dietro da l’anime lasse.
     Trovai il duca mio ch’era salito
giá su la groppa del fiero animale,
81e disse a me: «Or sie forte e ardito.
     Omai si scende per sí fatte scale:
monta dinanzi, ch’i’ voglio esser mezzo,
84sí che la coda non possa far male».
     Qual è colui che sí presso ha ’l riprezzo
de la quartana, c’ha giá l’unghie smorte,
87e triema tutto pur guardando il rezzo,
     tal divenn’io a le parole porte;
ma vergogna mi fe’ le sue minacce,
90che innanzi a buon signor fa servo forte.
     I’ m’assettai in su quelle spallacce:
sí volli dir, ma la voce non venne
93com’io credetti: «Fa che tu m’abbracce».
     Ma esso, ch’altra volta mi sovvenne
ad altro forse, tosto ch’io montai
96con le braccia m’avvinse e mi sostenne;
     e disse: «Gerion, moviti omai;
le rote larghe, e lo scender sia poco:
99pensa la nova soma che tu hai».