Pagina:Alighieri, Dante – La Divina Commedia, 1933 – BEIC 1730903.djvu/87

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inferno - canto xix 81

     Qual suole il fiammeggiar de le cose unte
muoversi pur su per la strema buccia,
30tal era lí dai calcagni a le punte.
     «Chi è colui, maestro, che si cruccia
guizzando piú che li altri suoi consorti,»
33diss’io «e cui più roggia fiamma succia?»
     Ed elli a me: «Se tu vuo’ ch’io ti porti
lá giú per quella ripa che piú giace,
36da lui saprai di sé e de’ suoi torti».
     E io: «Tanto m’è bel, quanto a te piace;
tu se’ signore, e sai ch’i’ non mi parto
39dal tuo volere, e sai quel che si tace».
     Allor venimmo in su l’argine quarto,
volgemmo e discendemmo a mano stanca
42lá giú nel fondo foracchiato e arto.
     Lo buon maestro ancor de la sua anca
non mi dipose, sí mi giunse al rotto
45di quel che sí piangeva con la zanca.
     «O qual che se’ che ’l di su tien di sotto,
anima trista come pal commessa,»
48comincia’ io a dir «se puoi, fa motto».
     Io stava come ’l frate che confessa
lo perfido assassin, che poi ch’è fitto,
51richiama lui, per che la morte cessa.
     Ed el gridò: «Se’ tu giá costí ritto,
se’ tu giá costí ritto, Bonifazio?
54di parecchi anni mi mentí lo scritto.
     Se’ tu sí tosto di quell’aver sazio
per lo qual non temesti tòrre a ’nganno
57la bella donna, e poi di farne strazio?»
     Tal mi fec’io, quai son color che stanno,
per non intender ciò ch’è lor risposto,
60quasi scornati, e risponder non sanno.
     Allor Virgilio disse: «Dilli tosto:
‘ Non son colui, non son colui che credi ’»;
63e io risposi come a me fu imposto.