Pagina:Alle porte d'Italia.djvu/170

Da Wikisource.
156 alle porte d’italia

mutato. C’erano dei viaggiatori, nel mio vagone, degli uomini maturi e dei vecchi, d’apparenza così tra il ceto signorile e il ceto medio, che avevano qualche cosa di singolare nel viso, nel vestire e nel contegno. Parlavan francese, e si capiva che non eran francesi, benchè si capisse pure che quella era la loro lingua abituale; erano italiani, e trovavo in loro non so che di diverso da tutti gli altri italiani, nelle linee del viso, nell’espressione degli occhi e della bocca, che so io? nella compostezza degli atteggiamenti, nell’intonazione tranquilla e quasi grave dei discorsi. Erano sbarbati la più parte, d’aspetto pensieroso, vestiti d’abiti oscuri; avevano le capigliature lunghe, dei cappelli bassi, di larga tesa, le cravatte nere; tutti puliti, austeri e semplici. M’ispirarono subito una viva curiosità. Io non avevo mai visto alcuno del loro popolo; poichè era evidente che appartenevano tutti ad una sola grande famiglia. N’avevo inteso molto parlare, peraltro, da varii mesi, perchè il loro nome si pronunzia assai sovente a Pinerolo, e con un sentimento di simpatia e di rispetto, anche dal popolo minuto; nella mente del quale esso risveglia un’idea confusa di grandi dolori e di grandi glorie passate. Avevo visto anche nella biblioteca di Pinerolo, sui margini di certi libri di storia, nei quali essi eran giudicati dall’autor cattolico con parole appassionate e ingiuriose, delle risposte sdegnose, scritte in furia a matita, delle sclamazioni ironiche e dei rimproveri amari, che rivelavano l’anima calda di lettori giovanetti, offesi nella loro fede; e m’era