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grande popolo; ebbero i loro eserciti, i loro generali, i loro eroi, i loro martiri; trattarono molte volte da pari a pari con lo Stato cento volte più grande a cui appartenevano: sostennero trenta guerre, quali contro il Piemonte, quali contro la Francia, più d’una contro i due Stati riuniti; tennero testa per quasi un anno alla potenza di Luigi XIV. Come il popolo musulmano, sostennero urti di crociate fanatiche; furono strappati tutti insieme dalle loro terre come il popolo ebreo; si riconquistarono la patria come il popolo iberico. Dispersi, uccisi, distrutti quasi tutti come una razza infetta di cui si volesse purgare la terra, ripullularono più numerosi e più ostinati. Infine stancarono con la costanza invitta gli oppressori, si fecero invocare da loro nei pericoli, combatterono valorosamente per la causa comune, strapparono ai secolari nemici l’ammirazione e la gratitudine, li costrinsero a dar loro la libertà per cui lottavano da secoli, a vergognarsi del passato, e a festeggiare quella concessione come un bene e una gloria di tutti. E nonostante le mille persecuzioni, e le guerre spietate, e i lunghi esilii, che avrebbero dovuto spezzare intorno a loro ogni legame, e soffocare nel loro animo ogni altro affetto fuor che l’amore dei propri monti e l’orgoglio della propria storia, essi si mantennero sempre italiani nel cuore, e come furono del vecchio Piemonte, sono ancora una delle provincie più nobilmente patriottiche della nuova Italia. Onore ai valdesi, dunque! Eccoci a Ginevra... Voglio dire a Torre Pellice. Vediamo un po’ questo illustre minuzzolo di capitale.