Pagina:Alle porte d'Italia.djvu/181

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la ginevra italiana 167

parevano venuti là per tenere nei giusti limiti la libertà di coscienza. Un bel quadro, una mescolanza bizzarra di gravità e di gaiezza, di accademico e di campestre, di nostrano e d’esotico, in mezzo a quelle alte montagne, sui confini d’Italia, dentro al verde immenso e quieto d’una delle più gentili valli delle Alpi.



Infilammo la via principale, passando davanti a una fontana pubblica che fece erigere il re Carlo Alberto, in segno di gratitudine per l’accoglienza affettuosa che gli fecero i valdesi nel 1844. Il paese stretto e lunghissimo, è tutto pulito e lindo, che par fabbricato da pochi anni. Somiglia a un villaggio svizzero. Le casette colorite di fresco, i salici piangenti che sporgon fuori dai muri bassi dei giardini, le torrette bianche delle chiese evangeliche che spiccano sulla vegetazione bruna dei monti, e le viti fronzute che formano delle tende verdi sulle facciate delle case turchine e rosee, gli danno una grazia singolare; guastata un poco dai grandi casoni nudi e grigi dei molti opifici, fabbriche di tessuti la maggior parte, che empion la valle d’un brontolio cupo e affannoso. Non ci sono che quattromila abitanti, metà dei quali, a un di presso, cattolici, e quasi tutti operai. Ma il carattere generale della piccola città è vistosamente valdese. C’è quella nitidezza, quell’aria di semplicità quasi ingenua che si ritrova nei sermoni dei pastori delle