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la ginevra italiana 193

miei fratelli per cacciarvi dentro dei gatti vivi.... — Un carabiniere ingenuo ci avrebbe messo le mani addosso a tutti e due. Io era ben d’accordo con lui, in fondo. E mentre tirava innanzi a ragionare, credendo che non fossi persuaso, non gli badavo, e andavo pensando che egli poteva essere nipote d’una di quelle sante sventurate che morirono di stento tra le nevi del Moncenisio, in quel tremendo inverno della cacciata, o discendente d’uno di quegli eroici vincitori di Salabertran, che, stremati dalle fatiche, furon ripresi prigionieri sui fianchi dello Sci, al momento di rientrare nella patria, riguadagnata a prezzo di tanti dolori e di tanti rischi.... Poveri e grandi Valdesi! E lui continuava a discutere, e non sapeva che gli avrei concesso dieci conventi e ottocento irlandesi di più, tanto il pensiero di quella sua possibile genealogia me lo rendeva simpatico e mi disponeva ad assentirgli ogni cosa. Ma come cioncava! Delle fiancate di Campiglione, Dio lo conservi, che se n’avessero ingollato la metà i campioni assiderati del bravo Arnaud, là sopra i monti bianchi di val San Martino, i francesi avrebbero lasciato trecento morti di più fra le rocce. — Bah! — concluse poi, guardandomi, dopo aver sbacchiato e fatto sonare la lingua, da buon bevitore soddisfatto, — son tutte cose passate; non si ricomincierà più, non è vero? — Per parte mia, — gli risposi, — glie lo do per sicuro; non sono mai stato inclinato alle carneficine; domandi pure informazioni. — Però, — soggiunse il più giovane dei miei compagni, — se tornando qui a violar

De Amicis. Alle Porte d'Italia. 13