Pagina:Alle porte d'Italia.djvu/241

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le termopili valdesi 227

stesso del torrente, molto ripido, e tutto ingombro di colossali massi bianchi, dà l’immagine delle rovine d’una gradinata titanica, che scenda dal monte Roux fino a Torre. La montagna va su, quasi inaccessibile, tutta a pareti diritte, a scaglioni di roccie, a spigoli, a denti, a piccoli precipizi, a piccole frane, piena di minaccie, d’insidie e d’orrori; erta, maligna in maniera, da non credere che ci possan stare degli uomini altro che appiccicati, o appesi per le corde alle bricche, o rannicchiati nelle buche, come gli uccelli nei nidi. Eppure anche lassù, tra quelle rocce, ci son delle scuole, dei gruppi di casette, con piccolissimi tratti di terreno coltivato, tenuti su alla meglio da muricciuoli di sassi rifatti cento volte con pazienza da santi; e delle capanne solitarie, che rimangon per mesi e mesi nelle nevi, e da cui, qualche volta, non si posson portar giù neanche i morti. Quello è il tratto più angusto della val d’Angrogna. Il sentiero si assottiglia ancora, la riva si alza, le falde dei monti delle due parti quasi sì toccano: ecco la porta di Pra del Torno. Un piccolo ponte ad arco accavalcia il torrente, il quale precipita fra due muraglie. Rasente un di queste passa il sentiero sopra un sostegno artificiale di pietre e di legna, che si butta giù con pochi colpi di zappa. Minacciati d’un assalto, i Valdesi rovinavano quel sostegno, e nessuno passava più. La stretta era fortificata. Il sentiero era chiuso da una porta. Dietro la porta c’eran due sentinelle; la disperazione o la morte.