Pagina:Alle porte d'Italia.djvu/248

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234 le termopili valdesi

prevedute, misteriose, sataniche, un invincibile timor panico li assaliva tutt’a un tratto nel mezzo d’un combattimento, una paura fantastica della montagna, un terrore pazzo di quelle roccie enormi e di quelle gole tenebrose, piene di agguati, di spaventi e di morte, e allora si davano tutti insieme a fughe forsennate, aggirandosi vertiginosamente fra i massi, scivolando giù per i macigni umidi, pei rigagnoli convertiti in precipizi di ghiaccio, saltando l’un sull’altro giù per gli scaglioni degli orti, spenzolandosi giù dalle rupi con la corda alla vita, abbrancandosi agli arbusti dei ciglioni, sospesi sopra gli abissi; e non sentivan più comando d’ufficiali, s’accavallavano, si pestavano, si ferivano con le proprie mani, buttavan via le armi, s’imbrogliavano nei vigneti e nelle macchie come belve dentro alle reti, si lasciavan raggiungere, si lasciavano uccidere, si buttavano nei burroni per salvarsi dagli archibugi, si annegavano nel torrente per scampare alle lame, si gettavan incontro alle lame per sfuggire ai macigni, morivan soffocati nella neve per nascondersi agli insecutori. I più audaci, peraltro, i capitani, e quelli che avevan prese le armi per ardor religioso, e chi si trovava a combattere in luoghi senza uscita, resistevano ancora; la battaglia si rompeva in molte mischie parziali, in combattimenti di quattro, di otto, di dieci, che s’inseguivan poi lungamente, su per le bricche, uno per uno, con accanimento feroce, urlando minaccie di morte e di dannazione; duelli orribili s’impegnavano sopra eminenze solitarie; ufficiali, raggiunti