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I PRINCIPI D’ACAJA





Pinerolo, agosto 1883.

Era un pezzo che desideravo di visitare quel vecchio palazzo, il quale mi mostra tutti i giorni i suoi merli rossi di là dai pini e dai cedri del giardino della bella marchesa Durazzo. Uno strano edifizio, veramente, d’una forma che non riuscivo da nessuna parte ad afferrar intera con lo sguardo; coronato di certi merli bizzarri da castello di palcoscenico; carico di secoli, e pure colorito di fresco, e triste a vedersi come un cadavere imbellettato: e poi, nascosto là in un canto solitario di Pinerolo, in mezzo a casette misere e a vicoli in salita, irti di sassi enormi e corsi da larghi rigagnoli sonori. Non ci avevo mai visto intorno che ragazzi scalzi e processioni di pulcini, e qualche vecchio sonnacchioso, accucciato davanti a una porta, il quale non sapeva certamente chi avesse abitato una volta tra quei muri, più che non lo sapessero l’erbe che gli verdeggiavan tra i piedi. — Che diavolo ci ha da esser là dentro? — mi domandavo. Una mattina, passando sotto