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stiga nulla. Tutta quella gioventù smaniosa di vita non bastano a contenerla nè i lacci serrati della disciplina, nè la mano ferrea del colonnello, nè la cerchia angusta di Pinerolo: essa ribolle e zampilla fuori come vino spumante da una botte forata. Torino l’accende, come un grande specchio ustorio, e l’attira, come una gigantesca tromba aspirante. E le gite lecite e le corse clandestine s’avvicendano, come s’alternano tra i fidanzati, sotto gli occhi dei parenti, le carezze permesse e palesi e gli ardenti baci furtivi. Ah le belle scappate! O beato ultimo treno del sabato! O deliziosi tuffi a capofitto nel veglione vietato, dati con la voluttà del nuotatore fanciullo che si slancia nudo nel fiume, in barba alla guardia municipale! E saran terribili i ritorni, nell’ore più fredde della notte, in calesse, col vento e la neve in faccia, con l’ansia di non arrivare in tempo pel primo esercizio della mattina; nè riuscirà difficile al colonnello, che avrà udito da letto lo scalpitio accusatore dei cavalli, riconoscere sull’alba i profughi, o ai morsi dei cavalli capovolti, o ai colbac messi al rovescio nel dormiveglia, o agli occhi pesti e ai capelli arruffati dalla mano febbrile del carnevale. E ci sarà pure il rischio, sonnecchiando in sella, di perder l’equilibrio al primo salto di montone del maremmano ombroso, e di risvegliarsi in grembo alla madre terra, fra quel maledetto urlio dei compagni: — Paga! Paga! Paga! — Ma che monta! Si faranno le frizioni di spirito canforato e si pagherà il fio e lo Champagne.... ma si sarà slanciata l’anima a volo come un cavallo alato a