Pagina:Alpi e Appenini.djvu/136

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vibile. Ci diedero il vino e vollero il vitto, lo scambio fu fatto senza urti e senza contese, tanto più che eravamo pressoché sazi, ma giunse ancora una minestra di paste di Susa condita al latte e servita in iscodelle senza orecchie. Meno male che conciate cosi, erano nella impossibilità di udirci. Si mangiò anche la minestra per riscaldarci maggiormente lo stomaco, indi si seguitò a bere, a bere, a bere ed a fumare. La notte era tranquilla, l’aria fresca ed imbalsamata ed il cielo s’era coperto in gran parte da piccole nubi per nulla inquietanti. Il fuoco schioppettava sempre, di continuo alimentato. S’avvicinavano le undici e le ragazze dagli occhi neri, dalle forme tarchiate, dall’amoroso sorriso, lasciata da parte la timidezza, ci attorniarono ancora una volta, e s’intuonò tutti assieme ballonzando pazzamente attorno al fuoco e sopra le fiamme, il canto della notte e poi le ragazze si ritirarono e si ritirarono pure molti fra di noi, chi sotto le tende, chi sul fieno dei chalets. Io, solleticato dal soavissimo vino di Chiomonte seguitai a bere ed a scrivere le mie «note di viaggio» attorno al fuoco, in compagnia del parroco del paese del vino.

È questi un gagliardissimo montanaro, vestito alla borghese, con calzoni, farsetto e giacchetta di velluto. É tozzo e tarchiato, ha una fisionomia che impone per la vivezza di due occhi neri contenenti buona dose di fluido magnetico. Beve il buon vino collo stesso gusto con cui attende a fabbricarlo. Il suo spirito lo dimostra, scherzando allegramente e raccontando cose dell’altro mondo, coll’istessa indifferenza come se fossero di questo, ma finisce per istancarsi e si va a rintanare sotto una tenda. Attorno al fuoco, che è pur li per spegnersi, non restiamo che due; il signor Grange di Susa ed io. E si continua a bere e sapeva forse io che il vino di Chiomonte, lasciando libera la testa intorpidiva le gambe?

A poco a poco, il sonno mi sorprende e la mia testa si fa pesante. Sono sdraiato su di una fascina non troppo soffice eppure non so come decidermi a sorgere per battere la ritirata. Anche il signor Grange è li a me daccanto e sonnecchia. Dalle fiamme e dal braciere si sollevano intanto scintille e colonne di fumo dalle forme bizzarissime, la luna si sprigiona dalle nubi e dà un’occhiata al campo già sepolto nel silenzio il più monotono, solo interrotto dal crepitare degli ultimi rami infiammati. Il sonno cresce e mi pare che un brivido di freddo mi scorra per le ossa mentre il fuoco mi abbraccia il viso ed il petto. La schiena, flagellata dalle sferzate del vento, è pressoché ghiacciata. La testa ebbra dal sonno ed ... anche un po’ al vino, s’impesantisce sempre più. Guardo ancora le ultime fiamme e faccio uno sforzo per alzarmi....

II.

La salita al Colle

Un risveglio gelato — Avventure notturne — Orsiere e Serre Celette. — I Chàlets d’Argueil — La mamma della guida — L’occhio all’ingiro. — Un saluto alle Termopili d’Italia — Il Colle d’Arquer — La flora dell’Assietta.

Mi risveglio e guardo attorno colle pesantissime pupille. Il fuoco era spento e mi trovai solo in mezzo al campo e le stelle imbiancate dai primi albori del giorno, mi brillavano sopra il capo trapuntate sopra un cielo di indaco. L’idea di me stesso e delle cose mie, mi