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UNA PIANTA FEROCE


edete questa graziosa pianticella che pare assorba con voluttà grande l’umido che la circonda e il cui fiore azzurro cupo e la cui forma ci fanno ricordare le profumate mammolette della primavera del piano? È una specie di campanula afferrata a metà e tenuta sospesa nell’aria da uno svelto gambo e armata da un lungo ed affilato sperone. Sorge nel bel mezzo di leggiadre foglie disposte a rosa e le foglie sono grasse ed eguali in tutto a quelle dei semprevivi. I montanari la nomano: grassette e, si servono delle foglie, per medicare le ferite di taglio. Ve ne prego, guardatela bene questa pianta. Non iscorgete voi in essa alcunché di strano, di terribile, di sanguinario? Ah! voi mi sorridete in un certo modo, quasi voleste dirmi: «Va là, burbone!»

Protesto energicamente contro questo titolo che voi avete tanta voglia di regalarmi, e mi spiego.

Questa pianta Linneo la noma: Pinguicula vuìgaris ma, allorachè il sapiente botanico la battezzò in tal modo, non era certo ancora conosciuta la straordinaria virtù di quelle poche foglie rubiconde e paffute. Sissignori, poiché quelle foglie che a voi pajono tanto inno centi, non lo sono punto; anzi, esse hanno, noi loro piccolo, gli istinti del lupo e dell’aquila e si nutrono di carne con eguale voluttà.

Voi avrete certo inteso a parlare della teoria delle piante carnivore, sulle quali Darwin pubblicò quel famoso libro che levò a rumore scienza e scienziati, quantunque il naturalista Ellis già le avesse segnalate a Linneo fin dal 17G8.

Ma allora non era conosciuta che la Dionea muscipula (acchiappa mosche), alla quale si aggiunsero, che é poco, altre droseracee e le utricularie. Linneo allora le studiò attentamente e. non appena riusci a constatarne la singolare proprietà, esclamò pieno di meraviglia: Miraci’. I uni n a tur ce!