Pagina:Alpi e Appenini.djvu/28

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gliarci maggiormente a salirlo o per dissuadercene. Sul mezzo giorno, il sole usci raggiante ed ardente dalle nubi, e le valanghe, vaghe come cascate e muggenti come cannonate, si precipitarono da ogni parte per gli scoscesi couloirs. Per non restar inoperosi, mandiamo il Carrel a Valtournanche, a prendere i giornali che là mi feci indirizzare, assegniamo i posti di Capo cuoco e di cuoco alli fratelli Maquignaz e preghiamo il cacciatore Lue di provvedere il gibier. Alle 10,30 min. la campana della Capella di Breil, suonata da Jean Joseph ci invitava al desco su cui fumavano due polente; una alla bergamasca e l’altra condita con burro e cacio. Accanto ad esse erano imbanditi; un pollo, carne salata, stracchino, salame, gorgonzola, pane e vino. Un pranzo più gustoso credo che — in simili circostanze — non si divorò mai! Per digerirlo, ci incaminammo per una escursione all’orribile ghiacciaio di Mont Tabel che ci si rizzava davanti. — La gita durò cinque ore, ce ne tornammo stanchi assai; ma col piacere d’aver ucciso un fringuello delle nevi ed aver visitato una miniera di rame. Alle 8, dopo una buona cena, eravamo in letto e si facevan voti pel sereno del dì dopo.

All’una ant. del giorno 12 (mercoledì) le guide ci svegliarono. I nostri voti erano stati esauditi: il tempo si dimostrava splendido. — Alle due partimmo guardando fissamente e con desio il grande e stupendo colosso che si osava affrontare in epoca veramente straordinaria. Avevamo con noi — per recarla alla Capanna — la bella e comoda cucina economica — dono del bravo sig. A. E. Martelli e, questa, gravitava per metà sulle spalle del Carrel e per metà su quelle di Jean Joseph. — Niente di vento ci si aggirava d’intorno e la neve dura, ci favoriva il passo.

Passiamo sotto la cascata di Polaglie' e riceviamo la benedizione dei suoi spruzzi. Illuminata a stento dagli incerti raggi del mattino essa sembra un lunghissimo fantasma ravvolto in bianco e polveroso lenzuolo e questo fantasma, novello Prometeo alla sua rupe, si muove sempre e mai non avanza, ma eternamente mugge e dà in balzi giganteschi. Verso le 3,30 ant. tocchiamo i chalets dell’Eura (del vento.) — Son seppelliti dalla neve e li attraversiamo valicando il tetto. — Lì presso e su un promontorio v’è un po’ d’acqua e facciamo colazione. Son le 4 e le vette vicine s’illuminano dei fantastici chiarori dell’alba. Dopo molta neve, c’imbattemmo daccapo in molta neve e molto ghiaccio. Ci legammo ... in sette ... che carovana! La salita del couloir per giungere a dominare il Colle del Leone fu faticosa assai; ma il peggio venne dopo quando cominciò il vero grimper. Si doveva salire per ispide roccie e quel che è più mal sicure, sia per le pietre muoventesi che ad ogni piè sospinto precipitavano abbasso, sia per la neve ed il ghiaccio che le coprivano e le circondavano. Dopo vennero le corde e fu duopo arrampicare su di quelle come veri funamboli, a forza di nervi. Fortuna che il vento non soffiava, del resto avrebbe potuto sbatterci e frantumarci contro quei giganteschi massi che, ad ogni costo, volevamo superare.

Ma non conviene che precipiti nella relazione, e ritorno al Colle. — E poco dopo di esso, che viene la prima corda posata nel mezzo della Cheminée — un vero camino senza parete occidentale — Segue il luogo detto la tenda (3740 m.) Così si noma un piccolo spazio quasi in piano, difeso a Nord dai venti e dalle valanghe da un gigantesco masso. — Tyndall pose nel 1802 sotto quel masso la sua tenda ed ivi la pose pure l’ingegnere comm. Giordano nelle sue studiose esplorazioni del Cervino, la sera del 22 luglio 1860. Di questa tenda trovo ancora varie reliquie che raccolgo accuratamente come destinate a far parte di un museo storico - alpinistico che iniziai alla mia stazione alpina a Chàtillon. Giù verso la Tersiva par che si stacchi un oceano di nubi in burrasca, tanti sono i cavalloni che lo ani-