Pagina:Alpi e Appenini.djvu/30

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rattamente ci serra il passo? «Passeremo di qui» dicono le guide additando una piccola sporgenza di roccia pendente sopra un orribile precipizio. Davvero che l’idea di doverci alfidar solamente ai piedi ed alle mani in sì brutto passaggio non risparmia ad alcuno un certo fremito ... Ma le guide procedono e si va avanti con tutta la lena di cui siamo capaci. I piedi posano appena sulle roccie ed il corpo deve arcuarsi all’indietro per poter colle mani far presa sulle roccie che sfiorano i nostri capelli. A metà strada, sospeso fra cielo e terra, mi viene il ticchio di misurare la forza de’ miei sensi e, voltandomi un poco, fissai — prima con un occhio e poi con tutti e due — il nerissimo abisso che si apriva a picco sotto i nostri piedi. La sensazione che ne provai fu viva ma non pertanto, nessun fremito notai in me, e nessuna idea di vertigine. E me ne consolai non poco e tuttora me ne consolo poiché se giunsi tanto a padroneggiarmi, io lo debbo unicamente all’esercizio forte e continuato. E chi vuol sapere che razza d’esercizio mi rese tale, io subito glielo dipingo. Quando io sentii profondamente in me suscitarsi e giganteggiare la passione dell’alpinismo e cominciai colle prime armi, un precipizio di cinque metri, mi metteva adosso la febbre per i brividi che m’invadevano irresistibilmente. Volli trovare un rimedio a tanti mali e lo trovai cominciando a farmi una forza straordinaria — per vincere il capogiro — nel passare su piccoli precipizi ove, se fossi caduto, non mi sarei fatto gran male: poi gradatamente, dal poco al molto, venni fino al punto in cui salii sui tetti e passeggiando sul loro margine, dapprima m’appoggiai ad una corda, poi corsi libero. La mia scuola era fatta: non aveva più nulla a temere. Che vi sieno altri generi di ginnastica per arrivare allo stesso risultato, io non lo nego, ma so che, con questo mio, ottenni quanto mi era proposto, ed ora, che so quanto frutto mi renda, punto non me ne dolgo.

E tirai diritto franco e disinvolto come se si fosse trattato di porre i piedi sul lastrico di una via maestra. E la mia non fu spacconata davvero — chè le spacconate non si possono fare in que’ certi luoghi senza pericolo di grave danno; ma fu un naturale ardimento, un effetto di balda sicurezza. Fuori di pericolo, mi misi a cantarellare dalla soddisfazione. — E avanti sempre! — La gioia ed il coraggio — come la sfiducia e la paura — sono sensazioni eminentemente comunicative ed io mi accorsi del fatto vedendo quanto il franco esser mio, giovasse al compagno di viaggio e rincorasse le guide, il servo e l’imperterrito Meynet Luc.

Nei passi difficili, era bello il vedere il nostro Luc. Quest’essere singolare che già dipinsi coi suoi occhietti luccicanti e rattenendo a stento l’affannoso respiro, guardava a sé davanti e dapprima chiaro si scorgeva che la diffidenza nelle proprie forze e l’incertezza lo assalivano, ed uno scontorcimento nervoso di labbra, formante una smorfia grottesca, segnalava questo suo titubare. Poi fissava me e pareva che l’anima sua nella mia si riversasse ed io — con sguardi sicuri e animati — lo rinfrancava e facevo sì che l’animo mio penetrasse nel suo .. Questo scambio che tanto posi a descrivere non durava che un lampo ed operava un vero miracolo. L’agnello ad un istante si faceva leone ed il povero gobbetto gonfiava le nari, spingeva dal petto come un fremito, avanzava i piedi, colle adunche e nervose dita forte stringevasi alle roccie .. e su e su... Era l’orgoglio che lo animava, lo spirito delle Alpi che lo invadeva, la bramosìa della vittoria che lo spingeva .. Povero Luc ... quella fu per lui una grande giornata! Ed intanto fra un passo e l’altro m’andava raccontando le avventure delle sue reiterate spedizioni con Whymper. — «Ecco — diceva additandomi la Tour — là dietro salii con lui e lassù mangiammo le uova. Lui, cantava allegramente canzoni in inglese, io gli faceva coro in paiois: c’intendevamo lo slesso!...»