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Pagina:Aminta.djvu/20

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Io ne vò à mescolarmi infra la turba
De’Pastori festanti, e coronati,
Che già quì s’è inviata, ove à diporto
Si stà ne’dì solenni, esser fingendo
Uno di loro schiera: e in questo luogo,
In questo luogo à punto io farò il colpo,
Che veder non potrallo occhio mortale.
Queste selve hoggi ragionar d’Amore
S’udranno in nuova guisa: e ben parrassi,
Che la mia Deità sia qui presente
In se medesima, e non ne’suoi ministri.
Spirerò nobil sensi à’rozi petti;
Raddolcirò de le lor lingue il suono;
Perche, ovunque i mi sia, io sono Amore.
Ne’pastori non men, che ne gli heroi;
E la disagguaglianza de’soggetti,
Come à me piace, agguaglio: e questa è pure
Suprema gloria, e gran miracol mio,
Render simili à le più dotte cetre
Le rustiche sampogne; e, se mia madre,
Che si sdegna vedermi errar frà boschi,
Ciò non conosce, è cieca ella, e non io,
Cui cieco à torto il cieco volgo appella.