Quanto ’l foco d’Amor possa in un petto,
Che petto sia di carne, e non di pietra,
Com’è cotesto tuo: che, se creduto
L’havesti, havresti amato chi t’amava
Più che le care pupille de gli occhi,
Più che lo spirto de la vita sua;
Il credo io ben, anzi l’hò visto, è sollo:
Il vidi, quando tu fuggisti, (ò fera
Più che tigre crudel,) et in quel punto,
Ch’abbracciar lo dovevi, il vidi un dardo
Rivolgere in se stesso, e quello al petto
Premersi disperato, nè pentirsi
Poscia nel fatto, che le vesti, et anco
La pelle trapassossi, e nel suo sangue
Lo tinse, e’l ferro saria giunto à dentro,
E passato quel cor, che tu passasti
Più duramente, se non ch’io gli tenni
Il braccio, e l’impedij, ch’altro non fesse,
Ahi, lassa, e forse quella breve piaga
Solo una prova fù del suo furore,
E de la disperata sua costanza,
E mostrò quella strada al ferro audace,
Che correr poi dovea liberamente.
- Silvia
- Oh, che mi narri? Dafne Il vidi poscia allhora,
Ch’intese l’amarissima novella
De la tua morte, tramortir d’affanno,
E poi partirsi furioso in fretta,
Per uccider se stesso, e s’havrà ucciso
Veracemente. Silvia E ciò per fermo tieni?
- Dafne
- Io non v’ho dubbio. Silvia Ohime, tu no’l seguisti