Vai al contenuto

Pagina:Andrea da Barberino - Guerino detto il Meschino, 1841.djvu/14

Da Wikisource.
x prefazione.

cio. Satanasso aveva in mezzo al corpo una gran bocca circondata da ispidi peli di diverso colore. Avea sei ale di color nero, tinte di macchie rosse e gialle, le quali mena continuamente per volare e volare non può mai, allargandosi come finte vele di navi. Ha sette corna sulla testa, tre faccie, tre bocche grandissime, dalle quali escono lunghe zanne; ed ogni bocca tiene un’anima tra le mascelle. Un volto è di color nero, un altro giallo e nero e il terzo tutto giallo. Intorno al collo avea avvolti sette serpenti, e un altro gran serpente lo cingeva con sette corna sulla testa, collo scaglion dipinto di varie macchie, di vista spaventevole, e che dalla gran bocca manda fuori un alito tinto d’ogni veleno che divora le vite. Intorno a Satanasso sta la calca dei demoni che tengono fra gli unghioni le anime disperate o fitte nel duro ghiaccio. — Guerino rapito da altri demoni viene nel cerchio degli adulatori, tagliati a pezzi e dati a divorare a crudelissime fiere; passò in un vallone pieno di terribili serpenti che tenevano fra gli unghioni e tra i denti i ladri e gli assassini; indi in un gran lago di fuoco ove sono dannati gli avari. Così passando dal terzo fino al settimo cerchio osservò i diversi patimenti delle anime dannate secondo i loro peccati, come le anime degl’iniqui giudici, dei ruffiani, de’ sodomiti, de’ tiranni, i tormenti di Maometto e le pene de’ Romani e dei Greci. Finalmente levato in aria, i demoni lo trasportarono in un prato pieno di gionchi sulla riva di un grandissimo fiume, al di là del quale erano molti spiriti buoni in bianche vesti, che cantavano le divine lodi. Passò un sottil ponte di vetro che si fece in un istante largo e saldo qual adamante; due vecchi venerandi lo lavarono nel fiume dichiarandogli d’essere purgato da tutti i peccati, i quali erano Enoc ed Elia, e lo guidarono in un luogo bellissimo vicino al paradiso terrestre, di cui vide i torrioni pieni di gemme, e il muro intorno di massiccio rubino. Gli fu aperta la porta del paradiso, e potè scorgere in parte la divina essenza, le angeliche squadre passate in rivista dallo imperador de’ cieli. Serrata la porta, i due profeti lo condussero in un piano, nel cui mezzo era la chiesa, dalla quale Guerino era disceso nel Pozzo di san Patrizio. Riceve dai monaci la benedizione. Manifesta il desiderio di sapere de’ suoi genitori, ed uno di essi l’assicura che sono vivi, ma che dirgli non può dove, però gli fa comparire davanti le loro effigie, che spariscono senza rispondere. Parte finalmente e va in Italia a Roma da papa Benedetto a dargli relazione del tutto, siccome aveva promesso.

Questa breve digressione, tolta dal poema di Tullia d’Aragona e riprodotta dal chiarissimo Giulio Ferrario nella sua storia dei romanzi della Cavalleria1, servirà non tanto a riempiere una lacuna che offrono tutte le edizioni in prosa da me riscontrate intorno al Pozzo di san Patrizio; quanto a mostrare che non

  1. V. Vol. III.