Pagina:Andrea da Barberino - Guerino detto il Meschino, 1841.djvu/400

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mura. E quando fu appresso il giorno a un’ora, il Meschino armato e Artibano ed Alessandro assalirono il disordinato campo, attendendo solo ad uccidere. Furono quella mattina morti dodici mila Persiani e cacciati per tutto il campo persiano ai loro padiglioni, e quando il giorno fu chiaro il Meschino tornò alle porte, e trovò che non n’erano morti di quei di Persepoli, ma quasi tutti erano insanguinati del sangue dei Persiani. Lionetto mandò una grande schiera alla battaglia, la quale fu stimata quarantamila, e questa conduceva il re Rafin del regno di Coromana. Quando il franco Guerino vide tanta gente rimandò dentro tutti i pedoni, e mandò per Alessandro, ed egli in questo mezzo si mise con Artibano e tremila cavalieri in punto.

Mosso il Meschino si levò gran rumore, che il cielo e l’aere era pieno d’orribili voci. Guerino abbassò la sua lancia, e contra a lui venne Serpeneros, figliuolo del re Rafin di Coromana, il quale gli dette un gran colpo di lancia, ma il franco Guerino lo abbattè in terra da cavallo, per la cui morte fu grandissimo dolore per il campo de’ Persiani. Era tenuto questo Serpeneros de’ più franchi e zelanti baroni del campo, e quando suo padre sentì la morte del suo caro figliuolo, corse sopra la città di Persepoli e come un ferocissimo dragone divorava; ma tal fortuna gli tornò in grandissimo danno, perchè quando il feroce Artibano lo vide correre per il campo facendo tanto danno d’arme, corse contro di lui ferocemente, e gli tagliò la testa. Così finì quel giorno la battaglia con gran danno de’ Persiani.

La mattina seguente il franco Meschino chiamò un buffone il quale era chiamato Araldo per mandarlo nel campo a Lionetto, e dissegli: — «Dirai a Lionetto figliuolo dell’Almansore, che io sono Guerino di Durazzo, e de’ Reali di Francia, il quale liberai il Reame di Persia dalle mani de’ Turchi, e sono Signore della città di Persepoli, e marito della bella Antinisca, perciò lo richiedo a battaglia acciocchè tutta la gente non perisca, che s’egli ha cuore da cavaliero, s’egli è di franca gente che accetti la battaglia d’un sol cavaliero, io lo farò sicuro per fede o per ostaggi, s’egli mi vince, di dargli la città e la bella Antinisca nelle sue mani. E s’egli per disgrazia perdesse la battaglia, ch’ei dovesse partire col campo». — Il messo andò in