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118 ITALIA ARTISTICA

busto di caracalla — museo vaticano.
(Fot. Alinari).
loro musei, coi loro portici, coi loro teatri, con le loro basiliche, con le loro biblioteche formavano una rocca meravigliosa lucente di marmi preziosissimi, scrosciante di fontane, scintillante di cupole e di statue d’oro. La smisurata ricchezza dell’impero romano aveva trovato il suo tempio sul Palatino, e il colle roccioso e boschivo su cui i primi pastori erranti del Lazio avevano innalzato le loro capanne rotonde cingendole di un rozzo muro di difesa contro le incursioni e gli assalti delle borgate vicine, risplendeva oramai di tutte le gemme, come un colossale altare innalzato dagli uomini riconoscenti alla bellezza di Roma!

Disgraziatamente però, erano quelli i supremi bagliori di una luce che stava per estinguersi. Oramai l’arte precipitava. Se l’architettura poteva mantenere ancora un certo decoro e una parvenza di nobiltà, grazie alla mole imponente dei suoi edifici, la scultura non sapeva più ritrovare le forme armoniose che l’avevano resa illustre nel mondo. Lo scalpello degli artisti romani diveniva ogni giorno più inetto e cercava di nascondere la sua miseria, sotto una sovrabbondanza di ornati, di fogliami e d’intagli che a mala pena celavano l’insufficenza della tecnica. E quando lo scultore era costretto a ripetere quei bassorilievi storici a cui i Romani erano abituati e che a Roma avevano trovato la loro più alta espressione, si vedevano quei poveri riquadri, lavorati malamente, e vera opera da nani incrostata sopra un edificio immaginato da giganti. Esempio della prima maniera è l’arco che gli argentieri e i mercanti di vaccine eressero in onore dell’imperatore Settimio Severo, di sua moglie e dei suoi figli l’anno 204 dell’Era volgare. Mentre troviamo l’impoverimento dell’arte scultoria nei bassorilievi scolpiti sull’arco del Foro Romano, eretto un anno prima per onorare le guerre imperiali1 Misere sculture intente a magnificare le faticose vittorie riportate a forza di stenti e di sacrifici sopra quei barbari che già tumultuavano ai confini e scendevano minacciosi come una procella, contro la potenza della metropoli.

Ma in tante preoccupazioni e in tante minacce che stringevano l’impero come in un cerchio rovente, la vita di Roma continuava nella magnificenza e nell’ozio. Si direbbe anzi che, presaghi delle prossime rovine, i Romani volessero annegare in un obblìo voluttuoso l’ora presente che urgeva. Gli ultimi edifici, in fatti, veramente degni del nome di Roma sono le terme.

  1. È da notarsi come nelle iscrizioni dedicatorie dell’uno o dell’altro di questi archi, Caracalla abbia fatto togliere e sostituire il nome del fratello Geta da lui assassinato.