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Pagina:Annalena Bilsini, di Grazia Deledda, Milano, 1927.djvu/150

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— Monaca, — corresse Lia, — monaca di clausura.

Eppure il suo accento era cambiato; pareva che la presenza di Baldo la rallegrasse, e che anche lei volesse aiutare Annalena a burlarsi della vocazione religiosa sua e del giovine.

Ma egli sviò subito il discorso.

— Mamma, là in casa si è all’asciutto. Osca vuol sapere dove hai messo la chiave di cantina.

— L’ho io, — ella rispose, frugandosi in tasca, e si mise a correre verso casa, lasciando indietro i due ragazzi. La scena era stata troppo rapida e naturale perchè Lia la credesse preparata; tuttavia ella si rifece timida e diffidente, e solo quando Baldo, senza guardarla, mormorò:

— Tu farai molto bene a lasciare il mondo e le sue miserie, — sollevò gli occhi e di nuovo lo guardò rapidamente.

Il viso di lui, contro luce, le parve di marmo rosa, circondato di raggi d’oro; quello di un giovine santo; eppure il suo accento austero la fece sorridere. E d’un tratto si sentì felice, come d’improvviso sciolta da un vestito gravoso che l’opprimeva fino all’anima.

Imitando la voce del parroco, egli diceva: