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Pagina:Annalena Bilsini, di Grazia Deledda, Milano, 1927.djvu/158

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Ed ecco che, come appunto nei sogni di quelle ultime notti, quando la carne dolente e l’istinto sepolto soverchiavano lo spirito addormentato, ella trasalì di gioia e di angoscia nel sentire attraverso la siepe un odore di tabacco speciale, ch’ella ben conosceva, l’odore di lui. Tornò a fermarsi, come avvolta da una nuvola di fumo denso ed acre che le chiudeva gli occhi e le penetrava in gola, e tossì per liberarsene.

Era in fondo una tosse volontaria, un anelito dell’istinto preso al laccio: l’uomo, nella strada, sentì, e la sua voce rispose subito, come l’eco al richiamo.

— Annalena!

Ella non si mosse; ebbe anzi paura: pensò al diavolo ed ai mille modi che egli adopera per indurre gli uomini al male. Apposta nella preghiera grande al Padre Nostro, s’invoca la difesa dalle tentazioni. Eppure un senso di gioia sovrumana la sollevava tutta; e non si meravigliò di sentire l’uomo frugare nella siepe, quasi tentando di squarciarla, e di soffiarvi dentro.

— Annalena, sei lì?

— Ma sì! — ella disse forte, come con impazienza. — Sto a cercare un po’ di fresco.

— Anch’io sto a spasso. Volevo venire da voi. Che fanno i ragazzi?