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189 | ANNALI D'ITALIA, ANNO LIII. | 190 |
gran copia d’acque, si conchiudeva, nulla esservi di sì mirabile in tutto il mondo, come quella fattura, la quale costò parecchi milioni. Tacito nota in questi tempi la prepotenza e l’arti cattive di Antonio Felice, chiamato Claudio Felice da Giuseppe Ebreo1, liberto già d’Antonia e poi di Claudio Augusto, a cui esso imperadore avea dato il governo della Giudea. Quel medesimo egli è, che si legge negli Atti degli Apostoli aver tenuto per due anni in prigione san Paolo apostolo. Costui, oltre al godere un buon posto nel cuore di Claudio, avea anche per fratello Pallante, il più favorito, il più potente, il più ricco dei liberti di corte; e però a man salva commetteva in quel governo quante iniquità egli voleva senza timore che gliene venisse un processo. S’empiè allora la Giudea di ladri e di assassini, e tutto si andò disponendo alla ribellione che accenneremo a suo tempo.
Anno di | Cristo LIII. Indizione XI. Pietro Apostolo papa 25 Tiberio Claudio figliuolo di Druso, imperadore 13. |
Consoli
Decimo Giunio Silano e Quinto Haterio Antonino.
Era giunto Nerone Cesare a quindici in sedici anni; anche Ottavia figliuola di Claudio Augusto all’età capace di matrimonio; e però in quest’anno si celebrarono le loro nozze. Così Tacito2. Ma Svetonio3 mette questo fatto due anni prima, allorchè Claudio era console, cioè nell’anno 54 dell’Era nostra, con avere allora Nerone celebrati i giuochi circensi, e la caccia delle fiere nell’anfiteatro per la salute del suocero imperadore. Anche Dione mette il di lui matrimonio prima del combattimento [p. 190]navale sul lago Fucino. Però non è qui sicura la cronologia di Tacito. Affinchè questo giovine bestia facesse per tempo una bella comparsa nell’eloquenza, Agrippina sua madre, e Seneca il maestro, vollero ch’egli servisse da avvocato al popolo d’Ilio o sia di Troja, i cui ambasciadori chiedeano allora in senato l’esenzion dai tributi. Una bella orazione in greco, dettatagli senza fallo dal precettore4, recitò Nerone, in cui ebbero luogo tutte le favole inventate dai Romani, cioè la loro origine da Troja e da Enea, spacciato dagli adulatori per propagatore della famiglia Giulia. Nulla si potè negare ad un sì facondo oratore, e a sì forti ragioni; però Tiberio, dopo avere anch’egli tirata fuori una lettera scritta in greco dal senato e popolo romano, in cui esibivano lega al re Seleuco, purchè egli concedesse ogni esenzione al popolo di Troja, parente de’ Romani, conchiuse che non si dovea negar tal grazia ai Trojani; nè vi fu chi non concorresse nella medesima sentenza. Perchè i Romani, che componeano la colonia nella città di Bologna in Italia, erano ricorsi all’imperadore e al senato per aiuto a cagion di un incendio che avea devastato le lor case: parimente per loro fece da avvocato con una orazione latina il giovinetto Nerone, ed ottenne in lor soccorso la somma di dugento cinquanta mila scudi romani. Anche il popolo di Rodi supplicava per ricuperare la libertà, che dianzi dicemmo tolta loro dal medesimo Claudio. Per loro perorò Nerone in greco, ed impetrò tutto quanto desideravano. Concedè similmente Claudio per cinque anni l’esenzion dalle imposte a quei d’Apamea, rovinati da un tremuoto, e al popolo di Bisanzio, che si trovò troppo aggravato; e per tutti i tempi avvenire l’accordò dipoi al popolo di Coo. Statilio Tauro (non sappiamo se Marco o Tito) possedeva de’ bei giardini. Agrippina gli amoreggiava5 anch’essa;