Pagina:Annali d'Italia, Vol. 1.djvu/302

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far delle leggi nuove, procurava di rimettere in piedi le vecchie. E ben molte ne rinnovò intorno al ristringere il soverchio numero delle ferie; in assegnar tutori e curatori; in ben regolare l’annona, e levarne gli abusi; in tener selciate le vie di Roma e delle provincie, e nette dai malviventi; e in punire chi nelle gabelle avesse esatto più delle tasse; in moderar le spese degli spettacoli e delle commedie; in gastigare i calunniatori, e in simili altri utili. Proibì sopra tutto l’accusar chicchessia, che avesse sparlato della maestà imperiale, sofferendo egli senza punto alterarsi le dicerie de’ maligni, fin le insolenze dette in faccia a lui stesso. Un certo Veterano, malamente screditato presso il pubblico, gli faceva premura per ottenere un posto. Rispose il savio imperadore, che studiasse prima di riacquistare il buon nome. Al che colui replicò: Quasi che io non abbia veduto molti nel posto di Pretore, che meco hanno combattuto nell’anfiteatro. Pazientemente sopportò il buon Augusto l’insolente risposta. Il rispetto suo verso il senato incredibile fu. V’interveniva sempre, essendo in Roma, non impedito, ancorchè nulla avesse da riferire. E quando pure, essendo a villeggiar nella Campania, gli occorreva di dover proporre qualche cosa, in vece di scrivere, veniva egli in persona a parlarne. Non aggiugneva a quell’insigne ordine, se non chi egli ben sapeva meritarlo per le sue virtù, con promuovere dipoi alle cariche lucrose i senatori poveri, ma dabbene, per aitarli. Che se talun dei senatori veniva accusato di delitti capitali, ne facea prima prendere segrete informazioni, per non iscreditare alcuno senza un sicuro fondamento. Interveniva anche ai pubblici Comizi, standovi finchè arrivasse la notte; nè mai si partiva dalla Curia, se prima il console non licenziava l’assemblea. Tal era il vivere dell’ottimo imperadore. Qual fosse quello di Lucio Vero Augusto, mi riserbo di accennarlo fra poco. Ma non si vuol qui lasciar di dire che questo giovinetto imperadore tornando dalla Soria1254, un brutto regalo fece alla patria, con condur seco la peste. Era essa insorta, chi dicea nell’Etiopia, chi nell’Egitto e chi nel paese dei Parti. Attaccatasi poi alle milizie romane, ed entrata nella corte di Lucio Vero, dappertutto, dov’egli passava, lasciava la micidial infezione secondo il suo costume, di modo che cominciò a sentirsi terribilmente anche in Roma. Si andò poi a poco a poco dilatando per l’Italia, e per la Gallia sino al Reno, facendo incredibile strage per tutti i paesi, durando anche più anni. Paolo Orosio1255 scrive, che rimasero prive di agricoltori le campagne, spopolate le città e castella, e crebbero i boschi e le spine in varie contrade, perchè prive di abitatori. Così feroce si provò essa in Roma1256, che i cadaveri de’ poveri si mandavano fuori in carrette a seppellire, e mancarono di vita molti illustri personaggi, ai più degni de’ quali Marco Aurelio fece innalzar delle statue.




Anno di Cristo CLXVIII. Indizione VI.
SOTERO papa 7.
MARCO AURELIO imperad. 8.
LUCIO VERO imperadore 8.

Consoli

APRONIANO e LUCIO VETTIO PAOLO.

Tutti gli antichi fasti ci danno consoli sotto quest’anno Aproniano e Paolo. Par ben difficile che tutti si sieno ingannati. Una sola iscrizione riferita dal Panvinio1257 e dal Grutero, ci dà consoli Lucio Vettio Paolo e Tito Giunio Montano. Ma verisimilmente un Aproniano sarà stato console ordinario con Paolo, ed a lui, o per morte o per sustituzione, sarà succeduto Montano, parendo poco probabile che Montano fosse lo stesso che