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Anno di Cristo i. Indizione iv.
Cesare Augusto imper. 45.


Consoli.

Cajo Giulio Cesare figlio d’Agrippa, Marco Emilio Paolo.


Già avea la libertà della repubblica romana ricevuto un gran tracollo sotto il prepotente governo di Giulio Cesare, primo ad introdurre in Roma il principato sotto il modesto titolo d’imperadore, non altro significante in addietro che generale d’armata. Non so s’io dica ch’egli pagò le pene della sua ambizione con restar vittima de’ congiurati; so bene che fu principe odiato dai più in vita, ma dopo morte scusato ed amato, massimamente da chi avea cominciato ad accomodarsi al comando di un solo; e so del pari che questo principe certamente abbondò di molti pregi, e che pochi pari di credito avrebbe avuto nell’antichità, se non avesse offuscata la sua gloria coll’oppression della patria. Caio Ottavio, o sia Ottaviano, da lui adottato per figliuolo, e da noi più conosciuto col nome di Cesare Augusto, ancorchè giovane, seppe ben deludere l’espettazione del senato. Adoperato per rimettere in piedi la repubblica, si servì egli della fortuna delle a lui confidate milizie, per assoggettar [p. 2] Roma di nuovo, e stabilir quella monarchia che, durata per qualche secolo, cedette in fine al concorso e alla possanza delle barbare nazioni. Di gran politica abbisognò Augusto per avvezzar il senato e popolo romano alla novità del governo cominciato da Giulio Cesare, e per ischivar nello stesso tempo quel funesto fine a cui egli soggiacque. I due suoi favoriti, cioè Marco Vipsanio Agrippa, marito prima di Marcella di lui nipote, e poi di Giulia di lui figliuola, e Mecenate, personaggi di gran senno e onoratezza, non gli furono scarsi di consiglio per fargli ottenere il suo intento. L’arte dunque sua fu quella di saper fare da padrone, senza mostrare di esser tale; e di conservare il nome e il decoro della repubblica, come era in addietro, ma con ritenere per sè il meglio dell’autorità e del comando. Perchè non solamente lontanissimo si diede a conoscere dall’ammettere il nome di Re o Signore, a cui non erano avvezzi i Romani, essendogli anche esibito1 dal popolo (forse per segreta sua insinuazione) l’usitatissimo di Dittatore, grado portante seco una gran balia, fece la bella scena di pregar tutti con un ginocchio a terra, che lo esentassero da questo onore, parendogli assai d’essere riguardato e nominato principe, titolo non altro significante allora che primo fra i cittadini. Compariva2

  1. Sueton., Vita August., cap. LII.
  2. Dio. Cass. Histor.