Pagina:Annali d'Italia, Vol. 1.djvu/423

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dogane, e li chiamava un male necessario. Uso suo fu di cambiarli spesso, sperando forse che i nuovi sulle prime opererebbono con più discretezza e meno ingiustizia. In beneficio de’ poveri sminuì le usure; e se i senatori prestavano per cavarne frutto, ne’ primi anni del suo governo, voleva che loro non si pagasse usura, ma solamente un regalo, ad arbitrio di chi prendeva in prestanza il danaro. Poscia ridusse al sei per cento le usure di essi senatori, e senza altro regalo; laddove gli altri per lo più1952 esigevano il dodici. Dava egli stesso danari a prestanza a’ poveri, e senza volerne frutto; anzi si contentava che coi frutti ch’essi ricavavano degli stabili comperati col di lui danaro, gli fosse restituito il capitale. Teneva egli esatto registro di tutto. E se gli veniva a notizia che talun de’ suoi conoscenti in bisogno di pecunia gli avesse o nulla o poco chiesto in prestito, il faceva chiamare per dimandargli conto di sì poca speranza e confidenza in lui. Del resto non era egli di coloro che non credono l’economia e il risparmio una virtù da principe. Anche in essi è virtù, se ciò non fanno per risparmiare ai suoi popoli gli aggravii, e per impiegare in benefizio e sollievo del pubblico stesso il loro risparmio. Regolavasi appunto così l’Augusto Alessandro, il quale era assai persuaso che il principe dee far da economo del danaro che si cava dai sudori de’ sudditi, e non già da padrone per impiegarlo ne’ suoi capricci e divertimenti. Perciò egli risecò tutte le spese e i salariati inutili della corte, ritenendo solamente la servitù necessaria con decenti e non isfoggiate paghe. Solea dire che la gloria e grandezza di un imperio consiste non già nella magnificenza, ma nelle buone forze, cioè, a mio credere, nell’aver ricchi sudditi e valorose milizie. Quanto ai soldati ne parleremo più a basso. Per conto de’ sudditi, favorì Alessandro non poco la mercatura, concedendo esenzioni a tutti i trafficanti. Attese all’accrescimento e all’abbondanza dell’annona, mandata in malora dall’impuro Elagabalo, e la rimise in piedi colla sua borsa. Il donativo dell’olio, che Severo Augusto ogni anno faceva al popolo, e che il suddetto Elagabalo avea molto assottigliato, fu da lui rimesso nel primiero suo essere. Era anche il popolo romano a parte una volta del governo e delle rendite della repubblica. Dappoichè si alzarono gl’imperadori, siccome di sopra accennammo, gran tempo durò il dare alla plebe di tanto in tanto qualche congiario, ed ogni anno tante misure di grano per testa, e vi si aggiunse anche il dono dell’olio e della carne. All’incontro condonò Alessandro alle provincie e ai mercatanti quella contribuzione che aveva a titolo di regalo, ma era forzata, solita a pagarsi all’entrare del nuovo principe, chiamata l’Oro Coronario. Per altro non lasciò Lampridio1953 di osservare che questo principe non ometteva diligenza alcuna per ammassar pecunia, e per custodirla ancora; ma non ne cercò mai egli per le vie illecite, nè con aggravio indebito d’altrui. Mai non diede per danari le giudicature, solendo dire: Chi compera bisogna che venda. Io mai non soffrirò questi mercatanti di cariche, e se li permettessi1954, non potrei poi ragionevolmente gastigarli. Mi vergognerei di punire un uomo che ha comperato, s’egli poi vende. Ma non donava oro nè argento a commedianti, carrozzieri e ad altri che davano divertimento al pubblico, ancorchè si dilettasse non poco degli spettacoli. Diceva che costoro andavano trattati come i famigli, cioè con paghe tenui. E tuttochè egli avesse un gran rispetto per la sua falsa religione, pure non offeriva ai templi pagani più di quattro o cinque libbre d’argento, e mai nulla d’oro, con ripetere un verso di Persio, indicante, che gli dii non aveano bisogno d’oro, nè servir esso per fare star bene gli dii, ma sì bene i loro ministri. Dissi con Lampridio