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medesima. Egli fu che promosse quella non mai veduta in addietro memorabil assemblea di prelati, secondato in ciò anche dalle premure del santo pontefice Silvestro. Assistè egli medesimo a quell’augusta raunanza, ed ebbe parte a tutto ciò che vi si fece, ma con far sempre ammirare la sua umiltà, e un gran rispetto ai vescovi, riconosciuti da lui per giudici di tali controversie. Di più non ne dico io, perchè intorno a questo è da consultare la storia ecclesiastica. Terminato poi il concilio, ancorchè Eusebio vescovo di Nicomedia, e Teognide vescovo di Nicea godessero dianzi non poco della grazia sua, pure perchè non si acquetavano alle decisioni sacrosante del medesimo concilio, e continuavano a sostenere l’empietà di Ario, li mandò in esilio. Per tanti capi sarà sempre in benedizione nella cristianità la memoria di Costantino il Grande; ma egli spezialmente per cagione di questo importantissimo concilio si meritò una particolar venerazione presso tutti i cattolici. Basta leggere le Storie di Eusebio e di Socrate e gli Atti del concilio suddetto per conoscere qual fosse in tal occasione il fervore di questo gran principe nel culto e nell’amore della santa religione di Cristo. E però torno a dire, essere una marcia bugia quella di Zosimo3242 scrittore pagano, il quale circa cento anni dipoi fiorì, allorchè scrisse che Costantino, anche dopo la caduta di Licinio, continuò a seguitar il culto de’ gentili, e a valersi degli aruspici ed indovini del paganesimo, con abbracciar il Cristianesimo solamente dopo la morte del figlio e della moglie. Da troppe prove si vede smentito un tal racconto, nè occorre fermarsi a confutarlo. Gli spettacoli de’ gladiatori fin qui erano stati le delizie del popolo romano, anzi di tutti i popoli del romano imperio, benchè dappertutto non si facessero, perchè costavano troppo. Al mirare quegl’infami combattenti, che l’un l’altro ferivano, o scannavano solamente per vile interesse, giubilavano gli spettatori, applaudendo alla destrezza ed agilità degli uni, senza punto compassionare il sangue e la morte degli altri. Ora Costantino, illuminato dai documenti della legge di Cristo, ravvisata la deformità e barbarie di que’ giuochi, pieno di giusto zelo, con suo editto3243, mentre dimorava in Berito, nel dì primo di ottobre, li vietò da lì innanzi sotto rigorose pene. Pretese il Gotofredo che quella legge fosse solamente locale, nè si stendesse per tutto il romano imperio; e non per altro, se non perchè sotto i successori di Costantino s’incontrano nè più nè meno gli spettacoli de’ gladiatori3244. Credo io di avere abbastanza dimostrato, massimamente coll’autorità di Eusebio, che veramente fu universale quel divieto di Costantino, ancorchè i di lui figliuoli non sapessero poi sostenerlo: tanto erano impazziti i pagani dietro a que’ barbarici e sanguinarii giuochi. All’anno presente ancora appartiene un’altra legge3245 di Costantino, data nel dì 17 di aprile intorno alle usure. Erano queste a dismisura cresciute, perchè, secondo le leggi romane, non era proibito il cavar frutto dai prestiti, e perciò abbondavano allora i prestatori. Secondo l’opinione del Gotofredo, Costantino ridusse, per conto dei danari prestati, il frutto al dodici per cento, cioè a pagare l’uno per cento ogni mese; e, per quel che riguarda i naturali prestati, come sarebbe il grano, permise che il frutto d’ogni anno uguagliasse il capitale. Le leggi del Vangelo corressero dipoi sì fatte usure, e ne moderarono l’esorbitanza con lodevoli provvisioni. Possono vedersi nel codice Teodosiano altre leggi del medesimo Augusto, tutte correttrici degli abusi d’allora, o pure testimoni della di lui munificenza verso le chiese e verso le vergini sacre e le povere vedove, alle quali assegnò