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91 ANNALI D'ITALIA, ANNO XXXI. 92

orgoglioso ministro condotto alle carceri, prorompendo in villanie e bestemmie senza fine, e poi corse ad abbattere e strascinar tutte le statue a lui poste, giacchè non poteano infierir contro la persona di lui1. Raunatosi poi nel medesimo giorno 18 di ottobre il senato nel tempio della Concordia, veggendo che i pretoriani se ne stavano quieti, e intendendo qual fosse il volere del popolo, condannarono a morte Sejano; e la sentenza fu immediatamente eseguita col taglio della testa. Accorsa la plebe gittò giù per le scale gemonie il di lui cadavere, e dopo essersi per tre dì sfogata contra d’esso, facendone grande scempio, lo buttò in Tevere. Anche due suoi figliuoli, l’uno maschio e l’altro femmina, per ordine del senato furono privati di vita; ma perchè insolita cosa era il far morire una fanciulla, il carnefice, prima di strozzar quell’infelice, le tolse l’onore in prigione. Apicata moglie di Sejano, benchè non condannata, si diede la morte da sè stessa, dopo aver messo in iscritto il tradimento fatto dal marito e da Livilla a Druso Cesare.

Intanto batteva forte il cuore a Tiberio nell’isola di Capri per sospetto che non riuscisse bene la meditata impresa; ed avea ordinato che, per fargli sapere il più presto possibile la nuova, si dessero segnali da’ luoghi alti, frapposti tra Roma e Capri; salì egli in quel dì sul più eminente scoglio dell’isola, aspettando quivi il lieto avviso. Per altro aveva egli preparato delle barchette, affinchè, se il bisogno l’avesse richiesto, potesse ritirarsi in sicuro con esse ad alcuna delle sue armate. Scrivono eziandio, aver egli dato ordine a Macrone, che qualora fosse insorta qualche fiera sedizione in Roma, cavasse dalle carceri Druso figliuolo di Germanico, e il presentasse al senato ed al popolo, con dichiararlo anche imperadore a nome suo. Il fine della tragedia di Sejano fu poi principio d’altre gravi turbolenze, che sconcertarono non[p. 92] poco il senato e la nobiltà romana. Il popolo già commosso, a qualunque dei favoriti di Sejano, che gli cadesse nelle mani, levava la vita. Anche i pretoriani sdegnati si misero a saccheggiare e bruciar delle case. Cominciarono poi dei duri processi contro dei senatori e d’altri nobili, che più degli altri s’erano fatti conoscere parziali di Sejano. Molti furono condannati, e con ignominiosa morte puniti; altri relegati; ed altri da sè stessi si abbreviarono la vita. Tutto era pieno di accusatori, e si rivangavano i processi e le condanne, gastigando chi avea giudicato come per istigazion di Sejano. Si tenne per certo, che le tante adulazioni del senato verso il medesimo Sejano, e gli onori straordinari a lui vilmente accordati, contribuissero non poco ad ubbriacarlo e farlo precipitare. Però lo stesso senato decretò che in avvenire si procedesse con gran moderazione in onorar altrui, nè si potesse giurare se non pel nome dell’imperadore. Contuttociò nel medesimo tempo volle esso senato concedere a Macrone il grado di pretore, e a Lacone quel di questore, oltre ad un regalo in danari; ma essi, addottrinati dal recente esempio, nulla vollero accettare. Incredibil fu la gioja di Tiberio, allorchè si vide sbrigato da Sejano. Ciò non ostante, la sua mirabil politica gl’insegnò di non ammettere all’udienza sua alcuno de’ tanti senatori e cavalieri che erano corsi o erano stati spediti dal senato, per significargli la fortunata riuscita dell’affare. E il console Regolo, che l’avea in ciò ben servito, fu costretto a tornarsene indietro senza poterlo vedere. Si figuravano molti, che liberato Tiberio dal giogo, dai mali ufizj e da’ sospetti di Sejano, avesse da lì innanzi da fare un governo dolce. Troppo s’ingannarono: sempre più egli imperversò. E giacchè era venuto in cognizione, per la deposizion sopraccennata della moglie di Sejano, degli autori della morte di Druso suo figliuolo, contro d’essi ancora con tutto rigore

  1. Tacitus, lib. 6, c. 25.