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125 | ANNALI D'ITALIA, ANNO XXXIX. | 126 |
le spie e gli accusatori. Però molti di quando in quando ne fece ammazzare, e si augurava che un solo collo avesse tutto il popolo romano per poterlo tagliare con un sol colpo. Nel medesimo tempo andava crescendo la di lui crudeltà anche verso i nobili e i ricchi, trovandosi con facilità dei pretesti per farli accusare e condannare a fine di mettere le griffe sopra le loro ricchezze e beni. Di Calvisio Sabino senatore, di Prisco pretore e d’altri parla Dione, con aggiungere che tutto il senato e popolo all’udirlo un dì lodar Tiberio, e minacciar tutti, rimasero sbalorditi e tremanti; e la conciarono per allora con delle adulazioni e lodi eccessive. Domizio Africano, del cui consolato poco fa s’è ragionato, seppe anch’egli con ripiego di fina accortezza schivar la mala ventura. Credendo costui d’acquistarsi un gran merito, avea esposta una statua di Caligola, con dire nell’iscrizione ch’esso Augusto in età di ventisette anni era giunto ad essere console due volte. Prese Caligola con quella sua testa sventata al rovescio l’espressione, parendogli fatto un rimprovero a sè stesso per la sua età, e per le leggi che non permetteano in sì poco tempo tali onori. Però considerando che uomo accreditato nell’eloquenza del foro fosse Domizio, composta un’orazione con molto studio volle egli stesso accusarlo in senato. L’accorto Domizio, finita ch’egli ebbe la diceria, senza mettersi a difendere sè stesso, si mostrò solamente stupefatto per la forza e bellezza dell’orazione di Caio, con rilevarne tutti i passi più luminosi e lodarli. Richiesto poi di difendersi, se potea, rispose d’essere vinto da così forte eloquenza, ed altro non restargli, se non di ricorrere alla clemenza di Cesare; e, in così dire, se gli gittò supplichevole ai piedi, implorando misericordia. Caio gonfio per aver superato un oratore di tanto nome, gli perdonò il resto, ed in appresso il creò console.
Ma non meno della crudeltà cresceva [p. 126]in lui anche la frenesia o pazzia, profondendo sempre più a sproposito immenso danaro negli spettacoli1. Egli stesso sulla carretta talvolta andò nel circo a gareggiar nella corsa coi plebei professori; e guai a quegli uomini e cavalli che gli andavano innanzi. Fra gli altri ebbe un cavallo prediletto, a cui avea posto il nome d’Incitato. Lo tenea seco a tavola, dandogli biada in vasi d’oro, e in bicchieroni d’oro del vino. Forse fu una burla il dirsi che egli avea anche promesso di crearlo console un dì; e che l’avrebbe fatto, se fosse vivuto più tempo. Poca gloria a questo forsennato regnante pareva il passeggiar per terra a cavallo. Volle far vedere ai Romani, che gli dava l’animo di cavalcar sopra il mare. Fece dunque fabbricar un ponte in un seno di esso mare fra Baja e Pozzuolo, lungo da tre miglia e mezzo con due file di navi da carico, fermate con ancore, e fatte venir anche da lontano2: il che poi cagionò una gran carestia in Roma e nell’Italia. Sopra vi fu fatto un piano di terra con varie case ben provvedute d’acqua dolce. Per questo ponte fabbricato con immensa spesa, un dì montato sopra un superbo cavallo, armato colla corazza riputata di Alessandro Magno, e con sopravvesta ornata d’oro e di gemme, spada al fianco, e scudo imbracciato e con corona di quercia in capo, marciò l’intrepido imperadore con tutta la sua corte da Baja a Pozzuolo, quasichè andasse ad assalire un’armata nemica; e come se fosse stanco per una data battaglia, si riposò poi in quella città. Nel seguente giorno salito sopra un carro tirato dai suoi più superbi destrieri, con Dario avanti, uno degli ostaggi dei Parti, seguitato da essa sua corte tutta in gala, e da alcune schiere di pretoriani, ripassò di nuovo sul medesimo ponte; in mezzo al quale alzato un tribunale, arringò, come se avesse conseguita qualche gran vittoria, lodando i soldati, quasi