1095Velo si getta in su l’ambrosia testa.
Così nelle sue stanze indi s’aggira
Immemore de’ guai che tanti innanzi
Già le stavan parati, e d’altri molti1
Che venir dovean poi. Chiamò le ancelle, 1100Che dodici, d’età pari, e non anco
Partecipi di nozze, avean lor sede
Nell’atrio innanzi al talamo odorato,
E comandò che immantinente al cocchio
Giungano i muli che condur la denno 1105D’Ecate al ricco tempio. E quelle il cocchio
S’affrettâr d’apprestarle; ed ella trasse
Quel farmaco dall’arca, al qual dan nome
Di Prometèo. L’uom che propizia pria
Fatta a sè con notturni sagrificii 1110Ha la diva Proserpina, e di quello
Indi il corpo si spalma, ei nè piagato
È da colpi di ferro, e nè pur cede
A foco ardente, e di valor per tutto
Quel dì più forte e di vigor diviene. 1115Pria dal sanguigno umor dell’infelice
Prométeo, cui la cruda aquila in terra
Cader lasciò là ne’ Caucasei monti,
Nato su doppio stelo un fiore apparve
Alto un cubito quasi, e di colore 1120Pari al Coricio croco, e nel terreno
Rossa, qual carne allora allora incisa,
Si stendea la radice, ond’ella espresse
↑Var. al v. 1098. Già le stavan parati; e de’ maggiori