Pagina:Apollonio Rodio - Gli Argonauti, Le Monnier, 1873.djvu/266

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240 argonautica.

     1265Le contemplava, e dal raggiante cielo
     Le mirò Giuno, e con le braccia a Pallade
     Tutta si strinse; un tal terror la prese.
     Quanto egli è lungo il giorno a primavera,
     Tanto hanno quelle travagliato a trarre
     1270Da que’ scogli echeggianti il legno in salvo.
     Con buon vento indi i Minii oltre correndo,
     Giunser della Trinacria innanzi al prato,
     Che i buoi pasce del Sole. Ivi, il comando
     Della moglie di Giove appien compiuto,
     1275Si tuffâr le Nereidi a par di merghi
     Giù pel profondo; ed un belar d’agnelle
     E un muggir di giovenchi a’ naviganti
     Ferì gli orecchi. In rugiadosa landa
     Faetusa, del Sol la minor figlia,
     1280Guidava l’agne, argentea verga appesa
     Al cubito portando, e guardiana
     De’ buoi Lampezia in man vibra una mazza
     Di lucido oricalco. In campo erboso
     Videro gli Argonauti appresso un fiume
     1285Pascolar quegli armenti; e un sol non v’era
     Bruno corpo fra lor; bianchi eran tutti
     A par del latte, e d’auree corna insigni.
     Essi nel dì quinci passâr; la notte
     Lieti corsero un lungo andar di mare,
     1290Finchè dal ciel la mattutina Aurora
     Vibrò sua luce a illuminar lor via.
Nel mar Ceraunio al Jonio golfo innanzi
     Sta con due porti un’isola ferace;