Spirata fossi, e d’ogni affanno uscita;
Chè tu con le tue mani, o figlio mio, 355Posta in tomba m’avresti; e questo egli era
Il sol favor che aver da te mi resta,
Di mie cure in nutrirti, in allevarti
Satisfatta abbastanza. Or io fra tutte
Le donne Achee già in alto onor tenuta, 360Derelitta or vivrò, pari ad ancella,
In vuota casa, ahi lassa! del desio
Struggendomi di te, di te, per cui
Splendor tanto e diletto ebbi finora,1
Solo per cui la prima volta il cinto 365Sciolsi, e l’ultima fu, poi ch’Ilitìa
Il favor mi negò d’altri portati.
Oh sventura, sventura! Imaginato,
Nè in sogno pure, io non ho mai, che Frisso
Dovea tanta fuggendo a me dar pena. 370Così piangendo ella doleasi, e a lei
Gemean le ancelle intorno. Allor prendea
Con molti accenti a confortarla il figlio.
Troppo così non contristarmi, o madre,
Con lugubri lamenti: il mal, piangendo, 375Non impedisci, e duolo aggiungi a duolo.
Imprevedute agli uomini sventure
Mandan gli dei: tu, benchè assai ti gravi,
Fa’ di soffrir la parte tua da forte.
E di Pallade ancor nelle promesse 380T’affida, e negli oracoli che Febo
↑Var. al v. 363. Gloria tanta e diletto ebbi finora,