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Fate stare indietro la gente, per bacco! Arabella, è nulla, mi creda; è uno sbaglio. Pigliala, Ferruccio, che la portiamo su.

Era il signor Tognino Maccagno che parlava così, che ordinava, che teneva lontano la gente, sorreggendo il corpo della giovane svenuta, trascinandola con uno sforzo verso la scala, mentre Ferruccio, cogli occhi velati da un fiume di lagrime, la prendeva fasciandole modestamente i piedi nel vestito, e aiutava a portarla su per le quattro scalette fino all’ammezzato. Pareva che portassero una morta.

Aquilino si collocò ai piedi della scala e col tono irritato di chi non ama le vigliaccherie, persuase i parenti a non far scene, ch’era una vergogna. Pigliarsela colle donne è più che una vigliaccheria, è una sporchezza. Il veterano, fremendo, cominciò egli stesso colle mani e col fazzoletto rosso di cotone a mandar via la ragazzaglia, che si caccia dappertutto come le mosche.

Quando fu tutto finito, arrivarono le guardie.



Arabella, posta a sedere sopra la poltroncina di pelle, cominciò leggermente a sospirare. Il suocero le sorresse colle mani la testa cadente, premendosela sul petto, mentre due o tre buone donne accorrevano con dell’acqua, con dell’aceto, con del rhum. Essa riaprì gli occhi, li girò mollemente intorno con aria trasognata, sospirò, si ricordò, strinse la mano del parente per ringraziarlo, e dopo aver mormorato delle parole chiuse, uscì a dire:

— Non c’è più quella donna?