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Pagina:Arabella.djvu/226

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pere i miei servitori, il fare insomma intorno al mio nome un osceno can-can, che mi fa comparire come la bestia feroce di Milano. Ella ha già più d’una prova se io sono una bestia così feroce. A questa guerra io son risoluto di opporre un’altra guerra; agli scandali altri scandali, a processi altri processi per tirar sul terreno della legalità una ciurma di affamati avvezzi a schiamazzare pel loro mestiere.

Non è dunque la paura di un povero vecchio che mi ha fatto comparire duro e intransigente questa sera: è, come vede, il dovere naturale che ho verso di me e verso la società di difendermi colle armi stesse che mi offrono i miei nemici.

Con tutto questo, cara Arabella, per dimostrarle che sopra il mio stesso diritto apprezzo il suo affetto e la sua stima, le prometto che ritirerò la denuncia, anzi autorizzo lei a mandare questa notizia a Ferruccio, per dimostrarle come io stimi e voglia bene anche a questo buon giovane. E se tutto ciò non basta, mi dica e mi suggerisca quel che posso fare per dimostrarle il mio pentimento e per riacquistarmi quell’affezione che spero d’aver meritato...»



Come se dalla fiamma della candela scoppiasse un piccolo razzo, a questo punto vide guizzare, tra le righe del suo nero inchiostro, una fila di minute scintille, e le parole farsi livide e confuse. Passò la mano sugli occhi e cominciò a rileggere il suo foglio, meravigliandosi d’aver scritto tanto in così poco tempo.

Dalla parte degli ammezzati la viuzza era già