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alla testa, dopo aver perduto un catino di sangue, era in letto con una febbre da cavallo, in delirio, più di là che di qua.

Arabella allibì. Chiese di veder suo suocero, ma la portinaia disse ch’era già uscito la mattina; e non fu possibile trovarlo per tutto il giorno.

Andarono insieme dal prevosto, che ascoltò il racconto con un senso di sincera pietà, crollando la testa, e ripetendo:

— Quel benedetto don Giosuè colla sua furia...

Il buon vecchio era del parere che colle dolci si sarebbe potuto evitare molti dispiaceri. Consolò la Colomba, fece animo alla signora Arabella e promise di parlar lui al signor Tognino.

Trovandosi sulla via quasi smarrita, un cattivo pensiero la persuase a fare una visita alla zia Sidonia e vi andò collo spirito conturbato di chi corre a cercare aiuto e protezione non tanto a un amico sincero, quanto a un fiero nemico del suo nemico.

Ritornò a casa convinta, risoluta a cogliere la prima occasione o il primo pretesto per rompere la sua catena.



— Dove deve essere andata con questo tempo? — domandò di nuovo il signor Tognino, volgendosi in tono di rimprovero all’Augusta.

Giusto! e non la g’à manco l’ombrela.

— Chi c’è in casa?

— C’è la Gioconda.

— S’eran bisticciati a tavola?

— Chi?